Non c’è stato un solo concorso pubblico nella scuola, che non sia incappato tra le maglie dei ricorsi, e in modo particolare quello a dirigente.
Ricordiamo il concorso del 2004, i cui strascichi si protrassero per anni, fino alla formulazione di una legge ad hoc del Parlamento, mentre di quello del 2011 si attende ancora una sentenza della Corte costituzione. Dei concorsi precedenti, sappiamo bene che molti dirigenti furono assunti per sanatorie e corsi-concorsi alla meglio accomodati per chiudere situazioni incancrenite, mentre, di contro, nessun beneficio, e di nessuna natura, ne ha avuto la scuola che continua a pesare sul buon volere dei docenti. E basta.
Ora il punto, e la riflessione che vogliamo fare, è il seguente: perché non consentire ai collegi delle scuole autonome di eleggersi il proprio preside? A tempo e con un appannaggio aggiuntivo allo stipendio, esattamente come succede col rettore magnifico e coi sindaci dei comuni italiani.
Oltre a risparmiare notevolmente sul costo dei concorsi e sulla loro organizzazione (sorveglianza, aule, commissari, esperti di test ecc. ecc.), il Miur potrebbe pure sbloccare il famigerato accorpamento di tante scuole, che ha visto sparire, nei piccoli centri soprattutto, la presidenza con il segretario, e poi molto personale Ata e pure un interlocutore diretto di cultura con le istituzioni locali.
E per implementare il preside elettivo, basterebbe solo modificare qualche norma (forse solo una o due) che preveda appunto questa nuova figura, scelta fra i docenti di ruolo di quella comunità: a tempo, 4/5 anni, e con un piccolo appannaggio di gratifica.
Se infatti facciamo riferimento al sindaco, di un qualsiasi comune italiano, non crediamo che le sue responsabilità siano inferiori a quelle di un dirigente scolastico, anzi, se si pensa alla mole di servizi a suo carico; stesso discorso col rettore magnifico, la cui elezione, da parte della “Universitas” interna, avviene solo in rispetto di una antica tradizione che vedeva la comunità indipendente dalla gestione della politica locale.
Ciò che il Miur dovrebbe solo fare, nel caso si scegliesse di eleggere il preside ( che fra l’altro sarebbe unus inter pares) fra i docenti della singola scuola autonoma, è quello di impiantare, nello stesso tempo, una nuova figura di dirigente dei servizi amministrativi, responsabile di tutta la parte legale della scuola, come fa il segretario comunale, insomma, che guida le Giunte contro gli scogli della burocrazia, o il direttore amministrativo nelle università.
L’uno ha competenze tra le burocrazie e le leggi, l’altro sulla didattica e la gestione della scuola, purchè la sua direzione “politica” e il suo progetto culturale rimangano a carico del preside e del collegio.
Se dunque i cittadini si possono scegliere un sindaco, anche analfabeta, alla guida della loro comunità, perché non possono farlo i docenti (tutti con tanto di laurea) e il personale della scuola, eleggendosi il loro preside-sindaco? Cinque anni in carica e, nel caso fosse preso da vertigini di potere, alla prossima tornata lo si ricaccia in classe.
Qualche decennio fa, anche la Gilda lo propose, ma poi, inopinatamente, abbandonò quel felice suggerimento, mentre ogni altro impennamento legislativo, che vorrebbe i dirigenti scegliersi perfino il personale più consono alle proprie esigenze (ma quali? E poi non è il collegio che decide e stabilisce le coordinate?) verrebbe a decadere, come è giusto che decada.
Contestualmente però, col preside elettivo, prenderebbe quota veramente e democraticamente il Collegio, con una nuova funzione dei docenti. E si toglierebbero pure il rischio di sopportare a vita dirigenti talvolta così troppo sensibili al potere, da diventare piccoli, sordidi tiranni, ma che hanno vinto un concorso.
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