Il rientro nella provincia (o almeno nella regione) di origine non riguarda soltanto i docenti sottoposti ai “vincoli” dei trasferimenti ma anche i dirigenti scolastici.
E anche questi ultimi sono da tempo organizzati in gruppi e “comitati” più o meno ufficiali e organizzati.
Nelle ultime settimane un folto gruppo di dirigenti vincitori del concorso 2017 ha deciso di inviare una lettera-appello al Ministro dell’Istruzione ma anche a tutte le organizzazioni sindacali e persino al Presidente della Repubblica e alla Presidente della Corte Europea dei Diritti dell’ Uomo.
I dirigenti in questione, 110 complessivamente, lamentano il fatto di non poter rientrare nella propria regione in quanto una buona parte dei posti disponibili risultano di fatto “bloccati” perché accontonati per il prossimi concorsi, quello ordinario e quello riservato.
I dirigenti sottolineano un’anomalia importante del loro concorso, l’unico bandito a livello nazionale (quello precedente e quelli in corso ora sono invece regionali).
I firmatari della lettera non “le mandano a dire” e usano parole di fuoco per descrivere la situazione che si è creata dopo con le immissioni in ruolo dei vincitori: c’è da prendere tristemente atto, scrivono, “dell’ immonda verità che quel vincolo forse è servito e serve per intrappolare oltre misura i malcapitati vincitori del concorso, prevalentemente provenienti dalle Regioni del Sud e Centro Sud, per assicurare la dirigenza nelle scuole del nord dove notoriamente i Dirigenti Scolastici scarseggiano.
Taciamo per pudore sulla iniquità paradossale e surreale che il mantenimento di detto vincolo ha determinato nell’assegnazione dei ruoli ai vincitori del Concorso 2017: vincitori fra i primi mille assunti nel 2019 che hanno dovuto svolgere il triennio fuori regione e molti ancora prestano servizio fuori regione, non avendo potuto chiedere e ottenere il trasferimento, e altri assunti negli anni successivi (2020 2021 o seguenti), perché più in basso in graduatoria ‘nazionale’, che per mera fortuna sono stati assunti nella loro Regione, alcuni addirittura nel proprio paese”.
Secondo i 110 dirigenti firmatari dell’appello sono qui in discussione
i diritti della persona, quelli che la Costituzione della Repubblica Italiana riconosce e garantisce: il diritto alla famiglia, il diritto a mantenere, educare ed istruire i figli, il diritto alla vicinanza al coniuge e ai genitori, il diritto alla salute, il diritto alla sessualità, il diritto all’ uguaglianza, sostanziale e non solo formale, il diritto a scegliere il luogo in cui vivere e svolgere la propria professione, il diritto alla vita politica, alle relazioni sociali e culturali, il diritto allo sviluppo della propria personalità e identità culturale, il diritto all’appartenenza e alla partecipazione alla vita pubblica.
“Diritti – concludono – il cui esercizio presuppone la possibilità di poter lavorare nella Regione di provenienza o almeno la possibilità di farvi rientro o avvicinarsi appena si configurino le condizioni conciliabili con il pubblico interesse”.
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