Le azioni politiche e amministrative messe in atto dal MIUR fin ad ora dimostrano che la “via italiana al reclutamento dei dirigenti scolastici” viene considerata l’unica possibile o quanto meno la migliore delle soluzioni possibili.
Lo rileva in questi giorni l’ultimo atto in ordine di tempo che il Miur sta predisponendo: le graduatorie dei vincitori del concorso, nonostante il TAR il 2 e il 16 luglio scorsi ne abbia sentenziato l’annullamento.
Interesse pubblico è procedere alle immissioni in ruolo, se sia stata rispettata la normativa della procedura concorsuale o no, è un fatto secondario che può essere discusso in secondo tempo.
Questa scelta effettuata sottolinea che siano meno importanti sia l’incompatibilità dei commissari valutatori delle prove scritte e orali, sia la presunta violazione dell’anonimato violato, rispetto al disagio creato nelle scuole da una eventuale mancata immissione in ruolo della dirigenza scolastica.
E induce a riflettere sulla poca trasparenza delle procedure concorsuali anche precedenti, che hanno dato adito a ricorsi interminabili sia per il concorso 2004 sia per quello successivo del 2011.
In più al concorso attuale, appena concluso, si aggiunge la pecca dell’influenza fortissima dei risultati delle prove di lingue straniere sulla valutazione complessiva. A tal riguardo condivido il pensiero di Giancarlo Cerini e del gruppo di esperti dirigenti e docenti che sono i sottoscrittori del documento ”Una proposta per il reclutamento dei dirigenti scolastici”.
Sono inoltre convinta che prove scritte con criteri di valutazione troppo generici che lasciano spazio ampio, troppo ampio, alla discrezionalità, determinano delle iniquità reali, con la conseguenza che sul merito ci sia il rischio che prevalga la fortuna.
Le prove per i concorsi dovrebbero essere oggettive, strutturate, come oggettive e quindi maggiormente valide ai fini di una valutazione il Miur nella scuola ritiene le prove INVALSI.
A, sempre a proposito di valutazione, va anche rilevato come in Italia, nel corso degli anni, il ruolo del preside sia concretamente diventato più forte, in termini di potere organizzativo, ma più debole in termini di cura della relazione, di interazione pedagogica per la costruzione di una comunità di pratica, dove le competenze di ciascuno “sono riconosciute come un valore”, dove tutti sono apprendenti, docenti, dirigente e alunni, ciascuno per il proprio ruolo, nel mutuo impegno di riuscire a rendere sovrano il diritto allo studio per tutti e per ciascuno.
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