La scuola va ripensata come impresa sociale, sulla base delle esigenze di chi vi lavora e del servizio che offre. Un’ovvietà? In Italia no
In questo inizio d’anno, ai vizi del passato che si ripresentano si aggiungono una serie di pesanti incertezze sui tagli all’alternanza scuola-lavoro, sulla nuova educazione civica che non parte, sulle belle promesse di eliminazione del precariato e sulla confusione di una chiamata diretta dei docenti da parte dei dirigenti scolastici che rimane nonostante tutto. La ciliegina finale arriva con un bello sciopero indetto dal sindacato il primo giorno di scuola!
L’impressione generale è che non si abbia la percezione reale della grave crisi del nostro sistema, le cui scuole restano sempre asservite alle direttive statali centrali e impedite, nonostante la gran buona volontà di molti insegnanti e presidi, nel mettersi realmente a servizio delle comunità locali.
A questa prospettiva invece cerca di dar voce e prospettiva il quaderno Dirigere scuole come imprese sociali. A servizio delle comunità (n. 1/2019) pubblicato dalla rivista Dirigere scuole. Idee e strumenti per la leadership educativa edita da Tecnodid e prodotta dai presidi di Disal. La rivista, fin dagli inizi nel 2009, sviluppa un debito culturale e affettivo con il compianto prof. Cesare Scurati, pioniere in Europa delle riflessioni sulla leadership educativa nella direzione delle scuole e vuole esprimere nella professione direttiva la fecondità di visione de Il rischio educativo di don Luigi Giussani.
Per non restare sul teorico, diversi presidi raccontano esperienze e riflessioni sulle soft skills, sul disallineamento Nord/Sud, sulla fine della scuola come fattore di ascesa sociale, su quel che ci raccontano i dati Invalsi e (come fa Tommaso Agasisti) su come utilizzarli per la gestione delle istituzioni scolastiche. Per guardare a esperienze coraggiose che sanno mettere in discussione le attuale forme culturali e organizzative si racconta anche delle “Scholas chairs” (il movimento delle scuole del Papa) e delle forme di “Homeschooling” che stanno crescendo sempre più anche in Italia.
Si tratta del tentativo di vivere la scuola come “impresa sociale”, cioè come un’organizzazione finalizzata a soddisfare uno dei bisogni fondamentali della nazione, l’introduzione alla realtà della vita attiva dei propri piccoli e giovani. “Sociale” non solo perché senza finalità di lucro, ma soprattutto per la forte partecipazione dei soggetti coinvolti al perseguimento dello scopo comune, fino a renderli partecipi della gestione e amministrazione delle attività. È di una tendenza che non si limita ai confini nazionali: basti pensare alle “Charter schools” statunitensi e alle “Academy” inglesi, ai quali la stessa rivista aveva dedicato pubblicazioni precedenti.
I caratteri della scuola come impresa sociale mostrano che questi intellettuali trovano la loro ragion d’essere e di agire nel diventare organici non solo a delle persone e, ultimamente, al mistero che le costituisce, ma anche a quella trama di relazioni nelle quali le persone sono generate e ogni giorno rigenerate. Un ripensamento che riesca a delineare nuove figure di professionisti e co-protagonisti (co-operanti) capaci di concepirsi e di agire a servizio delle persone e delle loro comunità, in un contesto di autonomie istituzionali e di libertà educative riconosciute. A questo lavoro si dovrà probabilmente dedicare l’impresa di una prossima pubblicazione.
Roberto Pellegatta
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