Attualità

Diritti e doveri: sarebbe necessaria una riflessione da parte di tutti

Questa mattina ho donato il sangue. Lo faccio da tanti anni. Poi sono tornato a scuola, cioè al lavoro. “Ma lei si deve prendere la giornata”.

Così parlò una amministrativa che si occupa di personale in una delle mie due scuole.
Ed io non a ribattere, sapendo il garbo e la precisione della signora, ma solo a dire come la realtà possa essere letta in diversi modi: “grazie signora, ma, come sa, un diritto non è un dovere”. In tanti anni, cioè, di donazione del sangue non ho preso mai il giorno, come da norma.

Perché? Perché, grazie a Dio e ai miei genitori, non ne ho mai avuto bisogno.
Per cui, per me è sempre stato naturale andare poi al lavoro. Non si dona, in poche parole, per avere un giorno, ma si dona perché lo si ritiene un dovere sociale. Chi ne ha bisogno, ovviamente, è bene che il giorno se lo prenda. Ma non è un obbligo.

Perché il diritto è calibrato sulle persone, prima di essere formalizzato in astratto per disciplinare un comportamento. Molti docenti, ad esempio, non si prendono sempre i tre giorni ogni mese della 104, ma solo quando ne hanno bisogno.

So di altri che lo fanno automaticamente, anche se non ne avrebbero bisogno, ma solo per avere giorni a disposizione. Questa dialettica diritti-doveri, per dire di una sensibilità che si fa poi competenza e professionalità, è presente nei costruttori di bandi e quesiti per i concorsi della scuola, della pubblica amministrazione?

Basta leggerli, per capire che sono ben lontano dall’aver compreso tutto questo.
Ma chi sceglie questo personale burocratico, parlo di quello che decide i profili dei bandi per le assunzioni? Come viene formato?

Ogni tanto risentire quei passaggi della Hanna Arendt sui limiti della mentalità burocratica (“ho solo obbedito agli ordini”) dovrebbe insegnare tante cose.
I burocrati oggi sono innamorati, ad esempio, dei quiz. Perché non calibrare questi bandi e relative prove non su test mnemonici, centrati solo sui quiz? Perché non partire dalla realtà?

Perché non centrare le prove di preselezione a partire da studi del caso?
Perché così emergono le reali capacità che ci vogliono per i ruoli che si intendono mettere a bando.

Ma so che, per i burocrati, queste domande sono o sembrano un tabù. Hanno cioè bisogno di prove cosiddette oggettive, come i quiz.
Ma noi, a scuola, sappiamo bene che i quiz a volte sono necessari, ma non sono mai sufficienti per dire una preparazione, una capacità, una sensibilità, delle attitudini.

Al ministero dovrebbero, su questo aspetto, costruire un focus di studio, ma tant’è.
I quiz servono a chi li difende, ma non alla scuola, nè alle persone interessate.
Diritti e doveri, dunque, forse rifletterci un pochino non farebbe male. Soprattutto oggi, in un’epoca di esaltazione dei diritti individuali, ma non sempre dei doveri.

 

Gianni Zen

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