Categorie: Disabilità

Diritto allo studio degli alunni con Dsa e Bes: cosa dice la giurisprudenza

Negli ultimi anni, a partire dal 2010, con la promulgazione della legge 170, c’è sempre più attenzione, anche da parte delle istituzioni scolastiche, ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento, e dal 2012 anche ai Bisogni Educativi Speciali. Il Miur ha fatto proprie le disposizioni contenute nella legge e con il D.M. n. 5669 del 12 luglio 2011, la Direttiva del 27 dicembre 2012, la circolare MIUR n. 6 dell’8 marzo 2013 e l’art. 17 bis dell’O.M. n. 37 del 19 maggio 2014, sono state confermate le disposizioni dedicate agli studenti/studentesse con DSA, presenti nelle precedenti ordinanze, per ciò che concerne gli strumenti compensativi e le misure dispensative nell’ambito dell’Esame di Stato.

Mentre l’individuazione dei Dsa è relativamente più facile, non altrettanto può dirsi per i Bes, che consistono in difficoltà individuali di vario genere, legate ad aspetti sia di tipo neurobiologico e neuropsicologico sia socio-culturali.

Vista la complessità della materia, l’U.s.r. per il Piemonte ha ritenuto di richiamare nella nota prot. n. 8953 del 5 novembre 2014 non solo la normativa di riferimento, ma anche la casistica giurisprudenziale che negli ultimi anni si è occupata di Dsa e Bes.

Per quanto riguarda, in particolare, i Bisogni Educativi Speciali, la nota dell’U.s.r. Piemonte analizza alcune sentenze e ordinanze che hanno preso in esame lo svantaggio socio-economico nella condizione familiare dello studente, i disturbi dell’apprendimento in assenza di certificazione sanitaria e il disturbo da deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD).

Tra queste la sentenza n. 9261 del 1° settembre 2014 con la quale Tar Lazio ha annullato la non ammissione di un alunno dal terzo anno al quarto della scuola primaria; nel ricorso presentato è eccepita la mancata considerazione nella valutazione finale del disagio della situazione familiare del bambino (figlio di una cittadina peruviana e di padre italiano, con notevoli difficoltà economiche). La scuola non aveva messo in relazione le evidenti difficoltà espressive del minore con la sua complessiva situazione familiare.

Il medesimo orientamento si ritrova nella sentenza Tar Lazio n. 7024 del 2 luglio 2014. Anche in questo caso i giudici hanno rilevato che il minore proveniva da un contesto sociale e familiare particolarmente disagiato e versava pertanto in una situazione di marginalità, anche culturale, acuita da una condizione di precarietà psico-fisica che avrebbe dovuto indurre l’istituzione scolastica ad attivare percorsi didattici personalizzati, tenuto conto della particolare valenza educativa e formativa dell’istruzione di I grado.

Ancora sulla stessa linea la sentenza del Tar Toscana n. 529 del 18 marzo 2014: secondo i giudici “anche a voler ammettere che si sia raggiunta la prova in ordine alla effettiva applicazione degli ausili deliberati dal Consiglio di classe (e, a questo fine, le dichiarazioni scritte rilasciate dai singoli docenti hanno al più valore indiziario), il giudizio conclusivo di non ammissione non reca traccia del loro impiego, così come non reca traccia di considerazione della condizione patologica dell’alunno, sebbene lo stesso Consiglio di classe se ne fosse espressamente fatto carico. Ed è proprio nella violazione dell’autovincolo assunto dal Consiglio di classe che risiede l’illegittimità del provvedimento: infatti, una volta riconosciuta la condizione dello studente come alunno con bisogni educativi speciali, ancorché in presenza di una certificazione sanitaria non rispondente ai requisiti indicati dalla legge, il Consiglio di classe avrebbe dovuto coerentemente orientare le proprie valutazioni”.

Lara La Gatta

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