Gli studenti disabili hanno diritto a provare l’accesso ai corsi di scuola superiore: non è detto che vengano selezionati, ma devono provarci ed essere messi nelle condizioni di farlo svolgendo delle prove che tengano conto delle loro condizioni, quindi attraverso verifiche personalizzate e se necessario semplificate. E se è necessario alla presenza del docente di sostegno. Questo, però, purtroppo non sempre accade. Il motivo? Mancano, probabilmente, la sensibilità e la cultura per affrontare la situazione. Uno degli ultimi esempi di discriminazione verso un ragazzo con disabilità si è consumato a Milano, dove una studentessa con disabilità cognitiva e invalidità al 100% aveva chiesto di iscriversi al liceo musicale Tenca.
Trattandosi di un corso liceale a numero chiuso, l’istituto superiore ha programmato una prova d’accesso. Senza però prevedere delle modalità diversificate per la ragazza, come del resto previsto dalla legge: ha convocato infatti la giovane per il test di ammissione come se si trattasse di un giovane normodotato. Alla ragazza non è stata concesso nemmeno svolgere la verifica con la sua insegnante di sostegno.
Inevitabilmente, in quelle condizioni, la giovane disabile è stata esclusa dal corso di studi.
A quel punto, però, la famiglia ha chiesto spiegazioni. Ma non alla scuola: si è rivolta in tribunale. E il giudice gli ha dato ragione.
La Sezione Prima — Diritti della persona del Tribunale di Milano, come abbiamo riportato, ha accolto il ricorso – per “azione discriminatoria a tutela di alunna minore con disabilità” – ordinando all’istituto musicale di iscrivere la ragazza al primo anno di corso senza nessuna prova d’ingresso.
Non solo: il ministero dell’Istruzione dovrà anche pagare alla famiglia della giovane un risarcimento di tremila euro.
E potrebbe anche appellarsi alla decisione del Tribunale. Ma per sostenere cosa? Forse che un ragazzo disabile non ha diritto ad iscriversi ad un liceo musicale? Oppure che va messo sullo stesso piano di un candidato normodotato? È chiaro che non è così.
È evidente, piuttosto, che un’amministrazione scolastica ancora una volta si è fatta trovare impreparata nell’accogliere un ragazzo disabile.
Da anni ci si sofferma sul bisogno di trasmettere almeno le basi del sostegno ai disabili a tutto il corpo docente. E anche al personale Ata. Il progetto era previsto, più o meno esplicitamente, anche nella riforma Buona Scuola del Governo Renzi.
Il massimo che si è ottenuto, quest’anno, è stato il corso di 25 ore rivolto a tutti i docenti con in classe almeno un alunno con disabilità certificata. Una disposizione che molti docenti, ma anche i sindacati, hanno contestato. Dall’altra parte, però, le famiglie dei disabili l’hanno invece reputata positiva ma minimale.
Ad ogni modo, sarebbe bene che a ricevere cognizioni almeno base sulla didattica e i rapporti con gli studenti disabili, partecipassero anche i responsabili dell’orientamento in entrata di tutti gli istituti. E probabilmente più di qualche dirigente scolastico, come pure diversi Usr e Ust, che continuano a negare le ore di sostegno pure in presenza di Pdp che non dovrebbero ammettere replica o modifiche.
È assai probabile che con qualche cognizione in più su come trattare e valutare un alunno disabile, certi episodi discriminanti, come quello di Milano, non si sarebbero verificati.
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