Per gli studenti disabili la scuola è un “territorio” sicuro, un luogo protetto dove crescere e relazionarsi con compagni e personale preparato e specializzato nel sostegno. Lo sanno bene le famiglie, che spesso chiedono (e ottengono) di fare ripetere gli anni di studio, proprio per permettere ai figli con disabilità di rimanere il più possibile nel contesto scolastico. In poche parole, per rimandare il momento del distacco dai banchi di scuole. Terminate le superiori, infatti, in alta percentuale (soprattutto da Roma in giù) questi giovani non hanno altre opportunità con cui misurarsi o per potere essere occupati e interagire. Tutto ciò è confermato dall’indagine “Non uno di meno. La presa in carico delle persone con sindrome di Down per il perseguimento del miglior stato di salute e la loro piena integrazione sociale“, realizzata dal Censis in collaborazione con Aipd, l’Associazione Italiana Persone Down.
Dallo studio, realizzato coinvolgendo un campione di 1.200 caregiver intervistati in tutta Italia, è emerso che quando viene meno la scuola “c’è spesso il nulla e non resta che stare a casa: è la realtà che vive quasi il 50%, specialmente al Sud e nelle isole“.
È anche per questo che Il 44,8% dei down over 45 non fa nulla e sta a casa; appena il 9% lavora e il 41,3% frequenta un centro diurno. E solo il 24% ha una vita relazionale affettiva e il 2,5% ha una relazione sessuale, percentuale che sale a 4,3% tra i 25 e i 44 anni.
Significativi sono risultati i dati sulle proposte d’intervento da parte delle famiglie: la scelta ricade per lo più su progetti di educazione all’autonomia e alla vita indipendente (47,9%), sull’offerta di servizi per il tempo libero (42,3%) e su politiche d’inclusione lavorativa (35,5%) e presa in carico complessiva della persona (33,8%).
Sul fronte occupazionale, emerge che poco più del 13% degli adulti con sindrome di Down ha un lavoro da dipendente o collaboratore, ma solo il 35% percepisce uno stipendio normale (e non minimo).
Sempre più spesso la diagnosi viene comunicata ai genitori fin dalla gravidanza: ben il 46,4% dei genitori dei bambini tra 0 e 6 anni ha ricevuto la diagnosi prima della nascita del figlio.
Con l’aumentare dell’età della persona con sindrome di Down, aumenta anche il livello di gravità percepito. Oltre i 45 anni, la disabilità viene percepita come grave dal 20,9% degli intervistati e come molto grave dal 18,6%, con una netta impennata rispetto alla fascia d’età 25-44 anni, quando la disabilità è percepita grave dall’8,2% e molto grave appena dall’1,0%.
“È un primo segno di come manchino servizi, supporti e in generale risposte soprattutto per gli adulti con sindrome di Down. E questo indica una strada alle istituzioni e a noi associazioni”, ha detto Anna Contardi, coordinatrice nazionale di Aipd.
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