Gentile Redazione,
la Vostra testata da sempre si caratterizza per il pluralismo di opinione, accogliendo i pensieri, anche contrastanti, di chi affronta a vario titolo le problematiche complesse del mondo dell’istruzione.
Con questo spirito affido a Voi il mio commento al Vostro articolo che tratta, in data odierna, la questione del disagio giovanile e la relativa responsabilità degli adulti. Ebbene, qui l’Autore elenca una serie di attitudini degli adulti che a suo giudizio sarebbero la causa del disorientamento educativo che affligge il mondo giovanile.
Mi permetto di analizzare alcuni dei punti trattati. L’Educazione Civica, a detta dell’Autore, fornisce agli studenti tutti gli elementi utili per sviluppare nel giovane la consapevolezza profonda dei valori democratici che connotano la nostra società e che vanno difesi, indubbiamente, senza esitazione ma al contempo questo processo sarebbe ostacolato da generiche e pericolose “voci dissenzienti”.
Vorrei chiedere: se il percorso educativo fosse davvero solido ed efficace, in grado di consolidare nello studente un autentico pensiero critico, ci sarebbe davvero qualcosa da temere in queste “voci infondate”? Inoltre: in ogni epoca e periodo (finanche recenti) la realtà che ci circonda è stata interpretata in modi differenti con la coesistenza di opinioni opposte, contrastanti, con le quali magari non concordiamo, oppure gli altri non concordano.
Perché mai proprio ora e solo ora questo dovrebbe spaventare la comunità educante? Personalmente, mi ritengo assai più preoccupata dalla mutazione semantica in atto e dalla creazione ossessiva di categorie entro le quali i fatti – nonché le opinioni stesse – devono per forza ricadere. Si affronta poi il delicato rapporto tra scienza e politica; forse gioverebbe ricordare che la scienza in sé, oltre a comprendere la confutazione delle tesi nel proprio modo di operare, non può in alcun modo sostituire il meccanismo di rappresentanza politica. Essa può fornire gli strumenti per interpretare o prevedere fenomeni ma non è in grado di porsi quale mezzo che dà voce ai molteplici interessi della società.
L’Autore richiama anche, in modo abbastanza esplicito, la tendenza alla colpevolizzazione del mondo adulto che si ritiene responsabile di qualsiasi fallimento giovanile deresponsabilizzando così proprio gli adulti di domani.
Si tratta di un atteggiamento discutibile e persino controproducente anche perché, in ultima analisi, questa ossessiva autocritica da parte del mondo adulto rende quest’ultimo fragile e incerto e come tale incapace di rivestire efficacemente il ruolo di educatore.
Dunque, il pensiero espresso nell’articolo sembra coerente solo su un piano formale ma non mi pare in grado di fornire spunti efficaci per affrontare il complesso fenomeno dell’attuale difficoltà giovanile. Oso credere che sia invece ben altro l’approccio da offrire e perseguire senza cadere noi stessi nella trappola dell’irrigidimento intellettuale e della povertà del dibattito.
Sara Andreone
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