In questi giorni tiene banco la questione del disagio giovanile, spesso legato indissolubilmente alla scuola. Abbiamo riportato di recente il caso del sondaggio sottoposto agli studenti del liceo Manzoni di Milano, che ha evidenziato i problemi di cui soffrono molti studenti, tra crolli emotivi, crisi di pianto e problemi mentali a causa delle pressioni sul rendimento scolastico.
I rappresentanti degli studenti del liceo classico Berchet di Milano, divenuto noto di recente per la decisione, di ben 56 studenti, di trasferirsi in un’altra scuola, hanno scritto una lettera, pubblicata su Il Corriere della Sera, in cui hanno parlato del disagio della giovane generazione e del modo in cui vorrebbero che la scuola cambiasse.
Ecco un estratto dal messaggio scritto dagli studenti, sottoscritto da molte scuole in giro per l’Italia: “Occorre che la relazione empatica tra studenti e professori, con cui non desideriamo scontrarci ma confrontarci, diventi la norma. Non vogliamo passare per quelli che cercano riduzioni dei programmi didattici, come si è fatto strumentalmente intendere sui media, né per quelli che non vogliono impegnarsi. Ciò su cui cerchiamo di porre l’attenzione è solo il necessario riconoscimento di una dignità della fragilità”, hanno scritto.
Gli alunni chiedono in sostanza di vedere riconosciute, e non sminuite, le loro difficoltà; non per non studiare, ma per vivere l’apprendimento in un clima più sereno: “Non chiediamo di studiare meno, vogliamo studiare meglio, in un ambiente sereno e fertile in cui lo studente non si senta alienato ma riconosciuto nelle proprie specificità. Abbiamo ragione di credere che il nostro disagio non sia una condizione isolata. Sono diffuse le realtà nelle quali gli studenti soffrono gli stessi problemi, senza avere la stessa attenzione e le stesse possibilità di essere ascoltati. Sentiamo perciò la responsabilità di coinvolgere le altre realtà scolastiche, alcune delle quali hanno già intrapreso il cammino in questa direzione, nel processo trasformativo delle modalità stesse del ‘fare scuola'”.
“Questa lettera vuole essere un messaggio di solidarietà verso tutti quei ragazzi di altre scuole che si sentono in difficoltà e, al contempo, una chiamata all’azione: far emergere un problema non è di per sé un male, né un’azione che dimostra debolezza, ma, al contrario, un atto di forte coraggio. Ribadiamo, infine, che noi studenti non accetteremo più atteggiamenti oppressivi e dispotici. Una scuola autoritaria prepara ad una società autoritaria, e noi non siamo disposti a tollerare né l’una, né, tantomeno, l’altra”, hanno concluso.
La Repubblica ha condotto un’indagine per capire cosa ci fosse dietro la decisione di così tanti studenti di cambiare scuola e quale sia il clima che regna nell’istituto.
Dal sondaggio – che chiedeva agli allievi di dare punteggi da uno a cinque su diverse questioni – emerge che oltre la metà di chi ha partecipato (303 allievi) soffre di stress e ansia a causa della scuola, che il 53 per cento sente una forte pressione da parte degli insegnanti e che il 57 per cento non affronta con serenità le prove orali e scritte.
“Molte criticità erano già presenti prima del Covid, ora stanno venendo alla luce con più forza e non riguardano solo i ragazzi più piccoli – ha spiegato Biancamaria Strano, rappresentante d’istituto e tra i promotori del sondaggio – . C’è un problema, noi lo riconosciamo e vogliamo cercare di cambiare una concezione di scuola sbagliata. A partire dal rapporto tra insegnanti e studenti: chiediamo maggiore sensibilità e attenzione per gli allievi, che non devono sentirsi aggrediti e vedere quindi aumentare i livelli di stress. È importante iniziare un percorso per aprire un dialogo con tutti gli insegnanti. L’obiettivo non è denigrare la scuola, ma far emergere ciò che non funziona e far sì che le cose cambino”.
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