Un quadro avvilente quello che emerge dai risultati delle prove Invalsi.
Dal punto di vista dell’istruzione l’Italia è divisa in due: una che capisce e sa leggere l’inglese e l’altra no, una che sa fare di conto e ottiene risultati positivi in matematica, l’altra no, una che parla e scrive correttamente in italiano e l’altra, purtroppo, ancora no.
I dati del rapporto Invalsi, già ampiamente analizzati dalla Tecnica della Scuola, fanno emergere “innegabili motivi di preoccupazione”, afferma il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti.
La regionalizzazione, in questi giorni al centro del dibattito politico, sarebbe una catastrofe per il sistema di istruzione: una scelta che accentua e radicalizza le differenze e le diseguaglianze.
Già il Nord ha risultato migliori rispetto al Sud senza l’auspicata autonomia. Il problema con la lingua italiana è grave perché rappresenta una competenza che investe tutte le discipline.
L’incapacità di apprendere l’italiano limita non solo la conoscenza, ma anche il pensiero e rende lo studente facile preda di pensieri demagogici o peggio anche di fake news, dilaganti, soprattutto sul web. L’impoverimento lessicale riguarda tutti, piccoli e grandi.
Il digitale, purtroppo, accorcia le distanze, ma non aiuta in questo senso: gli errori ortografici aumentano così come i “xkè”, i “cmq”.
Bisognerebbe ripartire dalla lettura e dalla scrittura fin dalla primaria e spronare i ragazzi a farlo.
La scuola deve colmare le distanze socio-culturali, deve tornare ad essere vero centro di aggregazione. Le voglie regionalistiche di ricche e strutturate realtà locali fanno pugni con il bisogno di una vera e propria unità culturale.
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