Uno dei pregiudizi più diffusi nel mondo della scuola è la separazione tra discipline umanistiche e scientifiche.
L’istituzione che ha tra i suoi compiti principali quello di sollecitare e accrescere nelle giovani generazioni il senso critico non può restare inerte di fronte a tale stereotipo né – fatto ancora più grave – alimentarlo.
Da docente di Lettere, proverò a dare il mio modesto contributo atto a smontare un inutile quanto dannoso luogo comune, nell’auspicio di avviare un proficuo dibattito con i colleghi delle “materie scientifiche”.
Non è forse attività scientifica lo scrivere bene in italiano? Non è forse la scrittura, oltre che l’esprimersi oralmente, un’operazione assolutamente scientifica?
La concordanza di soggetti e predicati, dei sostantivi con gli aggettivi, la consecutio temporum, la corretta costruzione di una frase e uno scorrevole periodare, l’uso intelligente della punteggiatura, qualcuno potrebbe pensare che non siano procedimenti scientifici?
Sgombriamo il campo anche da un altro pregiudizio, quello secondo cui la poesia e la letteratura siano appannaggio di letterati e poeti “puri”, una sorta di individui che vivrebbero al di fuori della realtà, beati nella loro “torre d’avorio”.
Forse potrebbe aiutare a farci ricredere il fatto che il più duraturo Impero che la storia umana ricordi, quello cinese, sia sopravvissuto attraverso i millenni proprio grazie ai mandarini, i funzionari “letterati”.
Nel corso dei Secoli, inoltre, la letteratura è stata praticata anche da personaggi che hanno legato il proprio nome ad altri campi dello scibile umano. E’ acclarato che il massimo prosatore della letteratura italiana del Seicento sia uno scienziato, Galileo Galilei, come provano le penetranti pagine del “Saggiatore” e del “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”.
Tra i più importanti nomi del XX secolo spicca, poi, quello dell’ingegnere Carlo Emilio Gadda, l’autore di “Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana” e di “La cognizione del dolore” e uno dei più vivaci sperimentatori, con il suo pastiche, delle potenzialità creative della lingua italiana.
Se poi ci spostiamo dal campo della prosa a quello della poesia, ci stupirebbe forse il fatto che il massimo poeta del Novecento non sia un letterato, ma un impiegato di banca? Proprio così, Thomas Stearns Eliot, l’autore del “The Waste Land” (“La terra desolata”).
La scuola italiana non può trasmettere negli studenti l’idea di un sapere a compartimenti stagni, ma deve semmai impegnare le proprie energie a sfatare un luogo comune che forse proprio nelle scuole è nato e continua a imperversare. Il sapere è unico, indissolubilmente scientifico e umanistico.