Le capacità di lettura e scrittura sono abilità fondamentali per la vita, garantiscono l’accesso all’informazione, ai servizi socio sanitari, il successo nel percorso di studi, ma circa un bambino su dieci, nel mondo, è affetto da dislessia.
La dislessia, uno dei disturbi di apprendimento riconosciuto dalla legge italiana 170/2010 (art.1) caratterizzato da gravi difficoltà di lettura, è presente nel 5-17,5% della popolazione mondiale, a seconda dei criteri diagnostici. In Italia i dati statistici forniti dalle rilevazioni del Ministero dell’Istruzione parlano di percentuali di circa 4,9% di alunni con DSA (che comprendono anche gli altri disturbi come disgrafia, discalculia, disortografia), dato che peraltro risulta quintuplicato dal 2010 al 2019, quando era dell’0,9%, quindi riguarda attualmente circa 290.000 bambini e ragazzi.
Nel 2020 gli universitari con certificazione di DSA sono stati circa 16.000.
Dati importanti quindi, rispetto ai quali fa riflettere lo studio appena pubblicato su Nature Genetics volume 54, dal titolo Discovery of 42 genome-wide significant loci associated with dyslexia, Scoperta di 42 loci significativi a livello genomico associati alla dislessia. (Al link lo studio in inglese).
Ad oggi gli studi familiari sulla dislessia suggeriscono un’ereditarietà fino al 70%, ma sono stati trovati pochi marcatori genetici convincenti. Lo studio ha preso in considerazione 51.800 adulti (21,513 maschi, 30,287 femmine), che hanno riferito una diagnosi di dislessia e 1.087.070 sono stati i controlli. L’indagine genetica ha dimostrato che all’interno del genoma umano vi sono ben 42 varianti che possono essere connesse allo sviluppo dei disturbi di dislessia. 15 di queste varianti erano già note alla scienza medica, ed erano associate a disturbi cognitivi vari, 27 sono le nuove identificate dagli scienziati e ricercatori dell’Università di Edimburgo.
Lo studio delle cause genetiche della dislessia è risultata simile tra i due sessi e si è riscontrata una covarianza genetica con molti tratti, tra cui l’ambidestria, ma non con misure neuroanatomiche dei circuiti legati al linguaggio.
Inoltre, gli scienziati hanno rilevato la correlazione genetica positiva tra difficoltà uditive e dislessia, suggerendo che i problemi uditivi in età precoce potrebbero influenzare l’acquisizione delle abilità di elaborazione fonologica.
E, dato ulteriormente interessante, è che anche le correlazioni con i risultati scolastici non erano forti, il che potrebbe riflettere come gli adattamenti scolastici e altri tipi di supporto che contrastino lo svantaggio nell’apprendimento.
L’identificazione dei fattori di rischio genetici assume un valore rilevante, non solo infatti favorisce una maggiore comprensione dei meccanismi biologici, ma può anche ampliare le capacità diagnostiche, facilitando l’identificazione precoce degli individui inclini alla dislessia e ai disturbi co-occorrenti per un supporto specifico.
Si tratta del più vasto studio di associazione genomica (GWAS) sulla dislessia finora realizzato, con 51.800 adulti che hanno autodichiarato una diagnosi di dislessia e 1.087.070 controlli.
Su questi argomenti il corso Disgrafia, interventi didattici mirati, in programma dal 1 dicembre, a cura di Patrizia Casella.
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