La dispersione scolastica non è la principale causa della disoccupazione giovanile. A sostenerlo è il sito internet Infodata de “Il Sole24ore”, che evidenzia come il mercato del lavoro non sia in grado di assorbire i giovani che non hanno completato gli studi. Quindi, la mancanza di titoli di studio tra i giovani può aggravare la situazione, ma non è la causa principale.
Le conclusioni cui è arrivata Infodata fanno riferimento alle analisi dei dati messi a disposizione dalla banca dati Eurostat, che ha incrociato i numeri della disoccupazione giovanile sui principali Paesi europei con quelli degli “early leavers”, cioè dei giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato gli studi prima dell’esame finale.
DATI CONTRASTANTI
Il fenomeno monitorato dal 2016 al 2017 riportato nell’articolo del Sole24 ore, mostra come sul tema della dispersione scolastica ci siano dati contrastanti tra i diversi Paesi europei.
Ad esempio il Portogallo è passato dal 36,5% di giovani tra i 18 e i 24 anni che interrompono gli studi al 14%, la Germania dal 12,5 al 7,1%, l’Italia è scesa dal 19,5 al 13,8%.
Un dato completamente indipendente da quello del tasso di disoccupazione dei giovani under 25.
COSA ACCADE ALL’ESTERO
L’esempio classico è sempre quello del Portogallo dove nel 2007 un terzo degli studenti tra i 18 ed i 24 anni rinunciava a completare gli studi e “solo” il 21,4% degli under 25 era disoccupato. Lo scorso anno la dispersione scolastica si è ridotta, come detto, al 14%, ma la disoccupazione è salita al 28,2%.
Per tornare al contesto nostrano a conferma di tutto ciò se l’abbandono scolastico è sceso dal 19,5% del 2007 al 13,8% dello scorso anno come detto, la disoccupazione degli under 25 è passata dal 20,4 al 37,8%.
Come mai questa indipendenza dei fenomeni?
Per capirne i motivi Infodata è andata più in dettaglio di ogni singolo dato .
In Portogallo, lo scorso anno il 14% dei “early learves” si è suddiviso tra un 7,4% di occupati e un 6,5% ancora alla ricerca del posto di lavoro, mentre dieci anni fa a fronte del 36,5% di studenti che non terminavano gli studi, il 27,3% trovavano in ogni caso un impiego mentre al 9,2% si aprivano solo le porte della disoccupazione., Cifre che confermano come la quota dei ragazzi che abbandona anzitempo gli studi rimanendo senza lavoro è rimasta sostanzialmente invariata, o comunque calata in termini assoluti per quanto riguarda l’abbandono anticipato grazie alle forti politiche attuate dai Paesi della Comunità Europea, ma rimane aperto l’annoso problema di trovare uno sbocco professionale agli “early leavers”.
COSA ACCADE IN ITALIA
In Italia per la precisione, la percentuale di quelli che lasciano la scuola nel 2016 è del 9,4% contro il 4,4 dell’anno precedente.
In sostanza, l’ipotesi che emerge dalla lettura dei numeri è che diversi anni fa chi lasciava gli studi lo faceva sicuramente per seguire un diverso sbocco professionale rispetto al percorso didattico intrapreso; oggi, invece, davanti alla prospettiva di una probabile disoccupazione si preferisce completare in ogni caso il percorso di studi avviato.
Come impatta in questo contesto l’innovazione digitale su occupazione e abbandono anticipato?
Molto dipende dal tipo di professione. Dall’analisi effettuata dall’Osservatorio statistico dei Consulenti del Lavoro che ha realizzato un’indagine comparata dei dati del volume di lavoro attivato negli ultimi cinque anni e dei risultati delle maggiori ricerche su questo tema, traducendo quindi le informazioni sui cambiamenti del lavoro in termini di competenze e di figure professionali in calo ed in aumento, è emersa la classifica delle 10 professioni “vincenti” e ”perdenti”.
LE PROFESSIONI RICHIESTE
Tra le professioni in crescita troviamo analisti e progettisti di software, disegnatori industriali e le professioni sanitarie e riabilitative.
Tra le professioni in calo occupazionale troviamo i segretari amministrativi ed archivisti, contabili e tecnici statistici.
Lo studente in crisi di “identità” che non sa se lasciare il percorso di studi o continuare, sicuramente farà bene dunque a consultare, prima di decidere, i dati occupazionali delle professioni.