Sono i giovani la categoria più colpita dal vortice della disoccupazione, passata nel quarto trimestre del 2011 al 9,7%, segnando un aumento dell`1,9% in rapporto all`anno precedente, il punto più alto dal 2001. Secondo l’Ilo, che il 30 aprile ha pubblicato il “Rapporto sul mondo del lavoro 2012”, sempre nell’ultimo periodo del 2011 la disoccupazione giovanile è salita al 32,6% e quindi risulta più che raddoppiata dall`inizio del 2008. Inoltre, molti lavoratori escono completamente dal mercato del lavoro: nello scorso anno, il tasso dei lavoratori che non cercano più lavoro ha raggiunto il 5% del totale della forza lavoro. E il numero dei “Neet” (giovani che non studiano, non lavorano e non frequentano corsi di formazione) ha raggiunto il livello allarmante di 1milione e mezzo.
A fronte di queste preoccupanti risultanze, gli interrogativi che si pongono i nostri giovani si moltiplicano. Anche gli esperti di formazione e lavoro mettono addirittura in dubbio se valga ancora la pena studiare ed investire tanto nella cultura personale.
Secondo la Fondazione Rui non vi sono dubbi: il titolo di studio conta, soprattutto se affiancato ad un’alta specializzazione. Equipaggiarsi con competenze che vanno oltre il titolo di studio, le cosiddette ‘soft skills’, può fare la differenza. Ancor di più se acquisita all’estero. Dall’esperienza pluriennale acquisita nei collegi universitari della fondazione risulta che “su dieci studenti che hanno compiuto il proprio percorso di studi crescendo all’interno delle residenze universitarie della Fondazione, da sette a dieci (ovvero la totalità) trovano lavoro entro sei mesi o un anno dalla laurea. Percentuali di job placement così elevate, fra il 70% e il 100% – spiegano con orgoglio dalla Fondazione Rui – trovano una spiegazione nei percorsi di formazione incentrati sull’acquisizione delle competenze trasversali, ovvero quelle attitudini relazionali e interdisciplinari richieste fortemente dal mondo del lavoro”.
Certo, non tutte le famiglie possono permettersi di mantenere i figli sino all’università, soprattutto quando sono private e richiedono delle rette significative. Il concetto però è chiaro: l’alta formazione e le competenze formative sono il biglietto da visita più importante per battere la disoccupazione.