Giancarlo Cerini, responsabile della redazione dei “Nuovi Orientamenti del 1990”, facente parte del CSN per le Indicazioni Nazionali 2012 per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, in un’intervista del 2013, discutendo del contenuto altamente pedagogico di dette Indicazioni, affermava che: la scuola ha il compito di dare ai suoi bambini radici ed ali.
I docenti della scuola dell’infanzia risultano essere i primi, dopo le cure ed attenzioni della famiglia, a coltivare l’orticello delle conoscenze e lo sviluppo delle competenze di ogni bambino. Gli insegnanti sono i primi coltivatori diretti preposti a tale compito che, come evince dall’etimologia della parola, lasceranno il segno del loro operato affinché i bambini possano sviluppare quelle che sono le finalità delle suddette Nuove Indicazioni, ossia le loro conoscenze, competenze, nonché l’autonomia per consolidare lo sviluppo della cittadinanza attiva.
Dal piano straordinario di assunzione contenuto nella legge denominata “Buona Scuola” emerge una sostanziale seppur poco evidente disparità di trattamento verso la cdc dell’infanzia, perché sulla carta la Legge 107/2015 è rivolta a tutte le classi di concorso del sistema scolastico italiano, ma nei fatti la scuola dell’infanzia ne resta esclusa totalmente, ingiustificatamente nonché illegittimamente. Essa non partecipa all’unica fase straordinaria predisposta per le assunzioni ossia alla cosiddetta fase C, da considerare quella con il contingente maggiore.
A questo punto, ci si chiede se la suddetta cdc sia vittima di una disattenzione da parte del Governo oppure di un progetto di estinzione ancora in fase embrionale nella mente di qualche governante.
Una così importante figura professionale non può e non deve essere relegata e considerata insegnante di serie B, non può e non deve essere lasciata nel dimenticatoio, vittima di una così palese disparità di trattamento.
La scuola dell’infanzia è diventata tale dopo un lungo ed ammodernato iter di programmazione e progettazione per far sì che si adeguasse ai cambiamenti epocali e planetari del nostro paese. Da semplice asilo dedito alle prime cure e necessità dei bambini dai 3 ai 6 anni si è trasformata in una scuola materna grazie ai “Nuovi Orientamenti” per poi cambiare totalmente veste con la ben più consona e attendibile definizione di “scuola dell’infanzia”, una scuola che cresce congiuntamente ai bambini di cui amorevolmente si prende cura, attenta alle esigenze e alla crescita di ogni singolo suo componente. Una scuola inclusiva che sia di tutti e per tutti.
La scuola dell’infanzia è da tempo, in Europa, il fiore all’occhiello della scuola italiana. Ed allora perché la si vuole declassare a puro centro di intrattenimento? Bisogna tener conto di ciò che emerge dalle “Nuove Indicazioni”, ossia che “la scuola dell’infanzia, statale e paritaria, si rivolge a tutte le bambine e i bambini dai 3 ai 6 anni di età ed è la risposta al loro diritto all’educazione e alla cura, in coerenza con i principi di pluralismo culturale ed istituzionale presenti nella Costituzione della Repubblica, nella Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e nei documenti dell’Unione europea”.
Quindi, se il bambino di oggi diventerà l’uomo planetario del domani, grazie alle cure e alle attenzioni che riceve a scuola, non si possono considerare figli di un Dio minore gli insegnanti preposti a tale compito.
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