Hanno fatto “rumore” gli ultimi dati Svimez sulla dispersione scolastica, soprattutto perché le percentuali registrate al Sud Italia (in media del 16.6%, con punte di quasi il 23% in città-simbolo come Napoli) sono più vicine al 20% che al 10% indicato dall’Unione europea. Preoccupano quegli 83 mila giovani nemmeno ammessi allo scrutinio di giugno 2022, perchè alla chiusura dello scorso anno scolastico perché non hanno raggiunto la soglia minima delle presenze del 25%. Il risultato è che uno studente su sei non arriva al diploma di maturità. E il timore, adesso, è che i miliardi che il Pnrr dedica proprio a questa “piaga” non siano sufficienti per ridurne la portata.
Il primo a rendersi conto della gravità della situazione è il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara: nel corso della puntata di Porta a Porta del 5 aprile ha detto di avere “chiesto all’Invalsi di organizzare un gruppo di esperti per lanciare una grande sfida contro la dispersione scolastica e l’assenza di competenze alla fine del percorso” formativo.
Poi ha sottolineato che problema della dispersione è maggiore nel Mezzogiorno “probabilmente per questioni di carattere sociale”.
Quindi, il ministro ha detto che “lanceremo una ‘Agenda Sud’ in 150 scuole con interventi che andranno dal numero dei docenti per classe, alla motivazione anche stipendiale: chi lavora in aree disagiate o di frontiera deve avere una valorizzazione anche dal punto di vista economico. Già oggi ci sono docenti che con coraggio e determinazione si dedicano a situazioni difficili in contesti difficili”.
Valditara, quindi, ha ribadito l’importanza di assegnare delle indennità nello stipendio dei docenti impegnati in ambiti didattici particolarmente ostici.
Le opposizioni politiche, intanto, si sono fatte sentire. “Uno studente su 6 abbandona gli studi, e i dati in alcune aree soprattutto al Sud sono davvero drammatici. Mentre il governo si preoccupa a giorni alterne delle “emergenze” più disparate, dai rave party ai forestierismi, su questo non dice una parola”, hanno detto gli esponenti del Movimento 5 Stelle in Commissione Istruzione alla Camera e al Senato.
“Eppure – aggiungono – gli 83.000 abbandoni registrati lo scorso anno rischiano di raddoppiare, ma all’orizzonte non c’è alcun piano di intervento. Anzi: in legge di bilancio sono stati programmati tagli per 4 miliardi nei prossimi anni e la riduzione del numero di dirigenti scolastici potrebbe portare come conseguenza la chiusura ed accorpamento di almeno 700 istituti, con la scomparsa di scuole proprio in quei territori in cui si sono segnalate le maggiori criticità sul fronte dell’abbandono scolastico”.
“Su questi punti – continuano i grillini – nella prossima settimana discuteremo una mozione importantissima, a prima firma di Anna Laura Orrico, che chiede al governo di tornare indietro su queste scelte folli e dannosissime. Fino ad oggi si è parlato di scuola pubblica solo in termini offensivi, dall’umiliazione come metodo educativo fino agli stipendi differenziati tra prof del Nord e del Sud. E si avvicina tetra la scure del progetto Calderoli sulle autonomie regionali, che può essere il colpo di grazia definitivo per il sistema scolastico nazionale”.
“Altro che liceo Made in Italy. Dal governo Meloni assistiamo ad una pericolosa politica di abbandono della scuola pubblica fin dal suo insediamento”, dice Vittoria Baldino del M5S, che prevede pure “uno scenario che rischia di farsi più tragico in prospettiva dell’autonomia differenziata con 20 diversi modelli di scuola, con docenti al Sud pagati meno rispetto ai colleghi del Nord“, sostiene la pentastellata.
Secondo la vicepresidente vicario del M5s al Senato, Alessandra Maiorino, “c’è un allarme dispersione scolastica in Italia, soprattutto al Sud: di fronte a questi dati da brivido e a una drammatica perdita di acquisto delle famiglie italiane, il governo non da risposte sul welfare e si spacca mettendo a rischio i 209 miliardi ottenuti da Conte in Europa, per rilanciare il Paese proprio a partire da scuola, infrastrutture e sanità”.
Anche il Partito democratico è duro. Irene Manzi, capogruppo del Pd in Commissione Istruzione alla Camera, ritiene “che il progetto di autonomia di Calderoli non farà che peggiorare” la situazione, “dando un colpo di grazia al diritto costituzionale all’istruzione; si rischia di adattare la forza dell’azione pubblica alla ricchezza dei territori”.
I dati Svimez ci hanno detto, continua Manzi, che “in una parte del paese, i giovani sono in credito di formazione, doposcuola, sport, educazione alimentare, tempo scuola. Non si riescono a spendere le risorse del PNRR contro la dispersione scolastica: stiamo parlando di 1,5 miliardi che rischiano di slittare”.
“Questo – sottolinea Irene Manzi – significa perdere interventi di sostegno per 820 mila studenti da mettere in campo entro il 2026; risorse che si fa fatica a gestire perché manca il personale oppure non è sufficientemente formato o per l’eccesso di “burocratizzazione” dei processi. Ma si registrano anche ritardi per gli interventi in edilizia per le mense scolastiche che sono indispensabili per garantire il tempo pieno e scontano, anche qui, la farraginosità del passaggio dal Ministero ai Comuni”.
Manzi ritiene che si debba agire “su tre linee direttrici: semplificare e sostenere i processi di spesa delle risorse del PNRR (un tema più che mai attuale); istituzionalizzare e finanziare la comunità educante sui territori (abbiamo proposte di legge del Pd depositate in Parlamento) per rafforzare l’alleanza tra scuole, famiglie, enti locali, terzo settore, volontariato, parrocchie in accordo con i servizi psico-pedagogici di comunità; mettere 1 miliardo su estensione del tempo pieno, gratuità dei libri scolastici e del trasporto, doposcuola“.
Pure la senatrice Cecilia D’Elia, capogruppo del Pd nella commissione Scuola, ritiene che “non possiamo permetterci di rinunciare all’obiettivo che come Paese ci siamo dati nel Pnrr su questo, in particolare sui servizi educativi 0-6 anni”.
“Serve un’alleanza forte per invertire la rotta – prosegue la dem – che coinvolga le istituzioni, i protagonisti dell’educazione, la società civile, le famiglie, le associazioni. Ne vale del rispetto di uno dei principi più importanti della nostra Costituzione: l’articolo 3, quello sull’uguaglianza e sul compito della Repubblica per rimuove gli ostacoli”.
Infine, anche l’ambito sindacale è preoccupato. “Questi dati – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – ci dicono che chi governa il Paese e la scuola ha il dovere di dare delle risposte. Si parla tantissimo di altre realtà altrettanto difficili, ma non di povertà educativa. Giusto ieri si è approvato un decreto che con 150 milioni triennali, derivanti dal Pnrr, introduce i tutor e gli orientatori: può essere d’aiuto, ma non basta”.
“Accanto a questo provvedimento è fondamentale, anzi indispensabile, approvare altre disposizioni già con il decreto Pnrr quater: la conferma dell’organico aggiuntivo di almeno 40 mila docenti e Ata, le immissioni in ruolo sui posti vacanti, lo sblocco della mobilità del personale. Si tratta di richieste che facciamo da tempo, ma che diventano propedeutiche all’obiettivo. Altrimenti, uno-due insegnanti a scuola tutor o orientatori non potranno fare molto”, conclude il sindacalista.