L’Italia è tra i Paesi europei più funestati dalla piaga degli abbandoni scolastici. Il dato è stato al centro del convegno Non uno di meno: riflessioni e azioni sulla dispersione scolastica, tenutosi il 4 maggio a Milano, nella sala Leonardo del Palazzo delle Stelline, ed organizzato da Unidea – UniCredit Foundation. Durante il convegno – cui hanno collaborato anche la Cooperativa Sociale S. Martino, oltre che l’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia e la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Milano Bicocca, attraverso il patrocinio – è stato presentato e commentato l’ultimo rapporto sull’istruzione della Commissione Europea: la tendenza in atto anche se positiva rimane tutta da verificare. Nel 2004 oltre il 22% dei ragazzi italiani tra i 18 e i 24 anni era infatti ancora fermo al diploma di scuola media inferiore e non frequentava alcun corso di riqualificazione professionale. I numeri sarebbero in linea con quelli emessi dal ministero dell’Istruzione, secondo cui la dispersione scolastica in Italia si attesterebbe in media sul 21,9%.
Esperti, educatori, accademici, operatori nel campo dell’istruzione e dei servizi sociali hanno fatto un analisi proprio della situazione nazionale. Quello sugli abbandoni della scuola in età di obbligo di frequenza, quindi sino al biennio delle scuole medie-superiori, è un indicatore particolarmente cruciale non solo nel confronto tra modelli di formazione, ma anche per valutare il potenziale di sviluppo economico su un mercato globale sempre più condizionato dal sapere e dalle conoscenze tecniche. Tutti gli esperti hanno concordato sul fatto che malgrado il dato di dispersione sia in rapido decremento rispetto agli anni passati – basti pensare che nel 2000 toccava quasi il 25,3% della popolazione scolare – l’obiettivo di ridurre, entro il 2010, il gap di scolarità alla media europea (10%) rimane davvero difficile da raggiungere.
La dispersione scolastica, dunque, resta una tipica “emergenza italiana”, tanto più se la si ricollega a una politica di spesa sulla scuola che, attestandosi sul 4,7% del Pil, appare inferiore alla media europea che del 5,22%. E non solo nelle regioni del meridione dove la disparità di sviluppo e quella di istruzione continuano a rincorrersi a vicenda. Anche nel Nord avanzato, il fenomeno segna una ripresa preoccupante e, soprattutto, paradossale. Nel 2004, stando ai dati dell’ufficio scolastico regionale della Lombardia, circa il 3,2% degli studenti lombardi iscritti al primo anno di un istituto superiore ha scelto di interrompere gli studi. La punta massima della tendenza si registra negli istituti professionali dove la percentuale di allievi che non sono rientrati in classe è del 5%.
Nell’anno scolastico 2000-2001 la percentuale di abbandoni era stata del 2,6%. Il dato ha fatto parlare gli esperti di “dispersione scolastica da ricchezza”. La Lombardia, in altre parole, sarebbe l’unica regione d’Italia in cui gli indici di abbandono non corrispondono a un ritardo di sviluppo, ma sono al contrario giustificati da un sistema produttivo talmente vasto dal richiedere anche figure professionali generiche e non preparate. Senza questa ampiezza di opportunità, la dispersione registrerebbe probabilmente percentuali inferiori. E’ anche vero però che il fenomeno della dispersione scolastica non può essere solo circoscritto ai ragazzi e alle loro famiglie, ma rimane un problema sociale di primaria importanza, che secondo gli addetti ai lavori coinvolge l’intera collettività e richiede risposte adeguate da parte delle istituzioni politiche e scolastiche.