Chiusure, violenze, incertezza. Il paese dell’Estremo Oriente asiatico si confronta ora con nuove sfide identitarie. La centralità della scuola nel rispettivo sistema – per via del valore morale e sociale attribuitole – è tanto elevato che il paese risulta essere, dagli ultimi dati disponibili, uno dei maggiori investitori nell’istruzione in rapporto al PIL. Senza poi contare alfabetizzazione e dispersione.
L’ultimo dato, per via dell’aumentare indiscriminato dei fenomeni ed atti di violenza – spesso digitale – rivolta agli studenti più deboli continua ad escludere costoro dalle attività educative in generale, provocando nei soggetti accenni di psicopatie comuni o forti stati d’ansia e depressivi, causa di ulteriore e deleterio isolamento. Le recenti ricerche hanno inoltre puntato il dito sulle chiusure – talvolta protratte troppo a lungo – per prevenire il contagio da Sars durante l’emergenza sanitaria che ha colpito l’area per oltre un biennio, con impatti evidenti su scuola ed organizzazione delle attività didattiche, nonostante il paese vanti essere un esempio di perfetta (o imperfetta) società postindustriale, dato l’elevato potenziamento di infrastrutture e piattaforme digitali anche a scuola.
Gli ultimi dati del governo mostrano che i casi di violenza scolastica e bullismo sono aumentati nell’ultimo decennio in Corea del Sud. A febbraio, il presidente Yoon Suk-yeol ha promesso di porre fine alla violenza nelle scuole e il governo si è mosso per garantire che i precedenti di bullismo siano riportati in modo più evidente quando si fa domanda per l’università. Eppure le organizzazioni degli insegnanti sostengono che gli sforzi sono insufficienti e che si dovrebbe porre maggiore enfasi sulla prevenzione in primo luogo, per evitare che i ragazzi adottino condotte scorrette. Keumjoo Kwak, professore di psicologia alla Seoul National University, afferma che i casi di violenza scolastica e bullismo in Corea del Sud riflettono le dinamiche della società collettivista, in cui la pressione dei pari gioca un ruolo significativo nel plasmare il comportamento degli studenti in fase adolescenziale.
Un recente studio su studenti universitari che hanno subito violenze scolastiche ha rilevato che più della metà aveva preso in considerazione il suicidio. Kwak afferma che l’ambiente competitivo e ad alta pressione che molti studenti in Corea del Sud devono affrontare può intensificare il problema del bullismo. Sostiene inoltre che gli studenti sono soggetti a un’intensa pressione accademica e lunghe ore di studio, incentrate principalmente sugli esami di ammissione all’università.
Le tanto discusse prove INVALSI costituiscono un cruciale riferimento per un confronto organico, circa le discipline di base, con la scuola dell’evo pre-pandemico. Il ritardo rispetto ai paesi OSCE è registrato in numerose capacità e competenze di base: guardando ai risultati PISA 2018 (gli ultimi disponibili) gli studenti italiani hanno ottenuto un punteggio inferiore rispetto alla media europea sia in lettura che in scienze, mentre in matematica i risultati sono stati in linea rispetto ad essa.
Fanno discutere le chiusure dovute all’emergenza sanitaria: nel periodo marzo 2020 – marzo 2022, in Italia le scuole sono rimaste completamente chiuse per 13 settimane superando le 7 e le 10 settimane di Francia e Spagna, ma comunque inferiori alla Germania, dove la chiusura è durata 14 settimane. Risulta, dai dati delle prove INVALSI, che dal COVID-19 la “scuola italiana è uscita a pezzi”. Nello specifico, per il secondo anno della scuola elementare, circa il 30 per cento degli studenti non raggiunge il livello minimo di competenze necessarie né in italiano né in matematica, discipline di base. Lo stesso vale per gli studenti all’ultimo anno della scuola secondaria di primo grado, i quali si trovano indietro rispetto ai coetanei europei.
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