Dispersione scolastica, quei giovani che passano dai banchi alla camorra
Dove vanno a finire i giovani che abbandono prematuramente la scuola? Cosa fa, anziché stare sui banchi, quel 18% di ragazzi, con punte del 30% in alcune aree, che lasciano gli studi in età di obbligo formativo? Tanti, la maggior parte di loro, vanno a infoltire la neet generation, composta da giovani che né studiano né hanno un’occupazione, una piccola fetta viene assorbita dal mondo del lavoro. Una parte, una minoranza fortunatamente, finisce in un mondo più grande di loro. Quello dalla criminalità.
La conferma è arrivata dalla Corte d’appello di Napoli, che nel realizzare un consuntivo del 2012 ha affermato che resta “critico” il fenomeno della criminalità minorile, in particolare delle ‘bande giovanili’ dedite a rapine, furti, spaccio di droga, ma soprattutto scippi e borseggi compiuti spesso con violenza inaudita.
Dalla relazione del presidente della Corte d’appello di Napoli, Antonio Buonajuto, nel corso della cerimonia dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario, si evince anche che questi giovani sono artefici di episodi di bullismo. Che spesso trovano sfogo in atti vandalici anche contro istituti scolastici ed edifici pubblici. Spesso si tratta di ragazzi che vengono assorbiti dalla camorra anche grazie al fatto che la famiglia d’origine è legata alla criminalità.
In ogni caso, qualunque sia la motivazione del “reclutamento”, per Buonajuto i minorenni eseguono “le istruzioni che gli vengono date e svolgono un’attività remunerata non deviante rispetto all’ambiente in cui vive, familiare e criminale”. L’alto giudice ha poi sottolineato che sta in crescita anche il fenomeno delle donne della famiglie malavitose che, in assenza di parenti detenuti o assassinati, assumono nelle proprie mani le redini dei clan di camorra. “L’assenza dei capi ha prodotto una insolita successione all’interno della famiglia camorrista, non solo in favore dei giovani, spesso minorenni e già adusi alla violenza, ma anche e soprattutto delle donne di famiglia che, senza alcuna remora e spavaldamente imponendo un ormai raggiunta parità di genere assumono – ha sottolineato Buonajuto – il comando del clan, gestiscono piazze di spaccio, favoriscono ricercati e latitanti e, incuranti della vita breve che promettono ai figli, votati a finire i propri giorni in carcere o nella tomba, assicurano la continuità dell’impresa familiare alimentandone ogni potenzialità criminale”.
Tornando ai giovani, Bonajuto ha ricordato che quelli più fedeli al loro ruolo nell’associazione camorristica, si rendono non di rado protagonisti di una vera e propria ‘carriera’ criminale. Sino a coprire dei ruoli dirigenziali. Vi sarebbero dei casi in cui il minore è stato accusato di dirigere o organizzare clan di cui fa parte anche perché “il coinvolgimento di minorenni in associazioni camorristiche non può essere evitato – ha concluso Buonajuto – se l’organizzazione criminale è attiva e potente in un determinato ambito territoriale in conformità alla propria natura”. Una natura che non prevede di certo il rispetto delle regole, ad iniziare dai valori sani e dalla frequentazione della scuola.