Gli esperti logopedisti riunitesi a Palermo al XII Congresso della federazione logopedisti italiani (Fli), hanno fatto il punto sui livelli di disturbi che interessano i bambini stranieri. Secondo infatti i dati pubblicati dal Miur, dei 300.000 bimbi stranieri, tra i 6 e i 12 anni, il 9,4% dei ragazzi che frequentano la scuola primaria e secondaria ha disturbi del linguaggio, una percentuale più che doppia rispetto agli italiani (che non supera mai il 4%), che va ad incidere soprattutto sulle varie forme del linguaggio: disturbi dell’eloquio, come ad esempio, le balbuzie, disturbi della lettura e scrittura, ipoacusie, ritardi cognitivi.
“Considerando i dati allarmanti e tutte le problematiche connesse – spiega la presidente della Federazione Logopedisti italiani – l’approccio multiculturale e multiprofessionale diventa la sola chiave di ingresso possibile per entrare in contatto, con rispetto, con la vita di questi bambini e conoscerne la storia, fatta di una propria cultura, lingua, credo religioso. Questo stesso approccio prevede infatti l’incontro, in una relazione di aiuto, tra due o più persone con background culturale ed etnie differenti e richiede la capacità di assumere competenze e abilità di aiuto multiculturali che devono integrare e supportare le proprie conoscenze e capacità”.
La trasformazione dell’Italia in un Paese sempre più multietnico determina quindi richieste di terapie specifiche, mentre nuove sfide attendono quindi il logopedista e tutte le figure professionali cui viene richiesta la capacità di progettare interventi riabilitativi con pazienti aventi un background culturale ed etnico diverso
“Generalmente- sottolineano gli esperti- occorrono due anni di permanenza in un Paese per raggiungere una buona capacità conversazionale ma se dopo 6 mesi di permanenza in Italia il bambino non è per niente in grado di esprimersi in italiano, è necessario un approfondimento”.
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