Disturbi specifici di apprendimento, riguardano meno alunni di quanto si pensi
La percentuale di bambini con Disturbi specifici di apprendimento (Dsa), ovvero con significative difficoltà nella lettura, scrittura e nel ragionamento matematico, è meno incisiva di quella realizzata in una prima fase di valutazione: è questa la conclusione espressa dall’Istituto di ortofonologia (Ido), durante la conferenza stampa su ‘Scuola dell`obbligo e disturbi specifici dell`apprendimento’, al termine di un lungo studio svolto nelle scuole d’infanzia a primarie di Roma. Secondo i ricercatori dell’Ido, a fronte del 20-23% per cento di bambini inquadrati, dopo una prima valutazione, con disturbi di apprendimento, meno del 4% si confermerebbe come tale.
A sostegno di questa tesi, nel corso dell’incontro con i comunicatori gli esperti di Dsa hanno presentato i risultati del progetto ‘Ora si!’, realizzata tra il mese di settembre del 2010 e il mese di giugno 2011. Il “focus” ha riguardato 9 scuole elementari (27 classi di prima e 27 classi di seconda) e 6 scuole materne (25 classi dell`ultimo anno), per un totale di 1.175 alunni: 1.025 delle elementari ( 535 di prima e 490 di seconda) e 150 delle materne. Ebbene, nelle scuole primarie su 1.025 bambini sono risultati a rischio Dsa solo 41 alunni. Si tratta di un numero di bambini decisamente inferiore rispetto a quello inizialmente emerso, pari a 239. Lo stesso procedimento è stato adottato nelle scuole d’infanzia, dove su 150 bambini 39 hanno meritato un`attenzione particolare. Alla fine dell`anno, però, il numero si è quasi dimezzato: 19 studenti, 1 bambino su 7, hanno presentato difficoltà organizzative, ma determinate anche da componenti emotive e quindi recuperabili con percorsi specifici già individuati dai docenti insieme all`equipe di psicologi. Collocare, invece, questi bimbi nella categoria dei dislessici, inserendoli “in un percorso di recupero specifico – è la conclusione dell’istituto di ortofonologia – rischierebbe di causargli danni notevoli, avendo in realtà solo disturbi comuni”.