Il tema dell’abbigliamento scolastico – o school dress code – costituisce un dibattito sin dagli anni ’90 del secolo scorso. Le nuove questioni legate all’identità di genere, della liberalizzazione dell’abbigliamento in seno agli edifici pubblici osservato negli ultimi 30 anni hanno acceso un dibattito non solo di natura amministrativa e politica, ma anche didattica. Il ruolo della divisa scolastica, per alcuni esperti, ha un fine pedagogico e didattico correlato al profitto, all’ambiente istituzionale ed al rendimento. Le realtà di destra combattono da anni per la reintroduzione della divisa scolastica anche presso cicli e gradi della scuola pubblica ove questa non costituisce un obbligo formale. Un valido esempio sono le proposte di Le Pen, la quale sarebbe favorevole alla reintroduzione delle divise a scuole, visto che questa, anche secondo Roger Chudeau, minacciano a mo’ di centrifuga le realtà scolastiche; l’abbigliamento, secondo il deputato appena citato, costituisce un valido esempio di “matrice ideologico-culturale-religiosa” da ovviare a tutti i costi all’interno di un “santuario” come la scuola pubblica.
I deputati di LR, che hanno già presentato testi simili, hanno fornito il loro sostegno sul testo ora in sede di esame il prossimo 12 gennaio presso l’Emiciclo parigino. Un’uniforme consentirebbe, secondo i membri di LR, “una migliore integrazione degli studenti che non dovrebbero più definirsi in base agli abiti che indossano e ai segni ostentati trasmessi, religiosi o meno”, ha affermato il deputato Maxime Minot. Senza essere ostili al principio, gli stessi rappresentanti eletti del campo presidenziale si sono opposti al testo, inquanto potrebbe risultare più impermeabile alle critiche dell’opposizione. “Deve basarsi su un lavoro serio sull’impatto delle divise a scuola”, ha affermato il deputato Christophe Marion, il cui gruppo Rinascimento ha avviato un gruppo di lavoro sull’argomento. Il membro dell’opposizione socialista Paul Vannier ha criticato una “polizia dell’abbigliamento” che prende di mira “giovani donne, spesso musulmane”, peserebbe sui bilanci familiari e creerebbe una “gerarchia tra istituzioni di alto livello e locali di grave impatto, anche a scuola”. “La nostra lotta è la lotta contro la discriminazione sociale, non contro le differenze”, ha aggiunto il collega socialista Inaki Echaniz.
Il tema, come già espresso, sarà al centro del dibattito politico il prossimo 12 gennaio, causando spaccature anche all’interno della maggioranza. “Sarebbe molto ingenuo pensare che arrivi una divisa per dirimere le questioni di laicità”, secondo il ministro della Educazione nazionale, Bak Ndiaye. Tuttavia, l’argomento alimenta il dibattito anche all’interno della stretta cerchia ministeriale. In questione, il numero di attacchi alla laicità causati dall’uso di abiti di carattere religioso. Su France Info, Pap Ndiaye ha individuato 353 segnalazioni contro il dree-code di alcuni studenti a novembre, “in calo rispetto a ottobre (720 segnalazioni)”. Tra questi attacchi, “per il 40%, si tratta di vestiti, abiti, segni religiosi o con intenzione religiosa”, ha precisato il ministro, il quale ha inoltre aggiunto che le uniformi scolastiche possono essere adottate liberamente dagli istituti che ne facciano richiesta senza formali generalizzazioni. Alcuni deputati della maggioranza hanno ripreso l’argomento. Le Figaro rivelava così il 18 novembre che alcuni deputati di Rinascimento avrebbero presentato al loro gruppo un disegno di legge per istituire una “divisa scolastica comune”, sul passo della Le Pen. Il fine allora sarebbe stato quello di favorire “l’uguaglianza” e quindi di lottare contro le “molestie a scuola”.
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