Nel quotidiano La Stampa di oggi, 30 maggio, all’indomani della brutale aggressione Elisabetta Condò, la docente di storia di un istituto superiore di Abbiategrasso, nel milanese, da parte di uno studente di 16 anni, c’è una lettera a lei rivolta scritta dalla celebre scrittrice e insegnante Viola Ardone.
Eccone il toccante contenuto: “Cara professoressa, che potrei essere io o una delle colleghe e dei colleghi con cui condividiamo questo mestiere che di stagione in stagione diventa sempre più scivoloso, io non ti conosco ma conosco benissimo quelle giornate di fine maggio, quando l’aria è dolce e tutto l’anno scolastico scivola rapidamente a
valle con la forza di una valanga, e si sommano le ultime interrogazioni, le verifiche, le medie dei voti con la necessità e il dovere di esprimere una valutazione. Quei giorni in cui i nostri alunni sono nervosi ed eccitati per la fine di un ciclo e l’attesa di un giudizio. Il nostro mestiere è anche quello: dare il voto a una prova, sintetizzare in un numero un parere, un incoraggiamento, un rimprovero. Pure gli alunni più bravi sono inquieti, perché un anno di studio e di vita e di impegno (o di mancato impegno) pesa più di uno zaino con il vocabolario per la versione in classe. Promosso,
bocciato, rimandato: sono le tre parole che rimbombano in ogni aula in questi ultimi giorni, anche quando non vengono pronunciate”.
“Cara collega, tanti anni fa un gruppo di studenti di Barbiana guidati da un sacerdote illuminato scrisse una lettera a te, a noi, alla scuola italiana. Fu un gesto rivoluzionario perché nessuno mai aveva osato prima mettere in dubbio le verità dogmatiche di un’istituzione che si chiudeva al cambiamento”.
“Oggi, più di cinquant’anni dopo, bisognerebbe che alunni e professori tornassero a parlarsi come allora, perché la
scuola è il luogo della condivisione, mica della battaglia. Mica si può entrare in classe, alla prima ora di una mattina di fine maggio, con l’aria così dolce, e ritrovarsi un’arma contro, mica si può rischiare di morire dietro la cattedra per una valutazione insufficiente?”.
“Cara professoressa, ti scrivo perché spero che la scuola ritorni a essere un argomento di discussione e di interesse. Una questione politica, e non di sola propaganda. Durante il Covid se ne parlò tanto, ti ricordi? Si disse che gli investimenti nella scuola e nella sanità sarebbero stati prioritari, si disse che bisognava costruire nuovi edifici, modernizzare la didattica, ridurre il numero di alunni per classe in modo da limitare l’insuccesso e l’abbandono scolastico. Si dissero tante cose, poi, passata l’emergenza, sono rimasti solo i banchi con le ruote, ammucchiati in qualche sgabuzzino, e un diffuso senso di malessere che grava ancora sui nostri ragazzi come un masso invisibile”.
“Sono le conseguenze della pandemia, è vero, ma anche di un sistema che è diventato sempre più competitivo. La logica del merito li strangola, i ragazzi, non li sprona. L’ossessione del voto, soprattutto, è diventata una forma di dipendenza. L’hai notato anche tu, carissima collega? La compulsione a controllare l’applicazione del registro on line
sul telefonino per confrontare l’andamento dei voti è ormai una malattia per i nostri alunni, di quello che sanno o che non sanno gliene importa poco, gli importa invece di non essere scesi dello 0,2 rispetto al giorno prima. Gli pesa enormemente che i genitori siano informati in tempo reale, tramite notifica della stessa applicazione, del fatto che abbiano preso un impreparato in geografia, un cinque in latino, un quattro in storia. Questa trappola del controllo totale li annichilisce e amplifica l’ansia da prestazione e da insuccesso, che è diventata un male diffusissimo”.
“La scuola dovrebbe tornare a essere un fatto loro, prima che della famiglia. Una sfida personale piuttosto che un elemento di approvazione famigliare e sociale. Un brutto voto a scuola dovrebbe essere preso per quello che è: un rigore sbagliato che però potrai segnare al prossimo incontro. Invece i ragazzi non sono più capaci di accettare il fallimento, si sentono azzerati dall’insuccesso. Cara professoressa, sei stata ferita proprio da uno dei tuoi alunni, e queste sono ferite che difficilmente si rimarginano. Sono sicura che presto starai bene, ma so che ti resteranno la paura e un vago senso di smarrimento, so che continuerai a chiederti perché, dove ho sbagliato, cosa ho fatto, cosa non ho fatto, cosa avrei potuto fare meglio, quali parole avrei potuto dire, quali tacere. Ti farai queste domande anche se non hai alcuna responsabilità, ma solo perché sei una brava docente, e una brava docente si fa sempre un milione di domande. Soprattutto in quegli ultimi giorni di maggio, con l’aria così dolce che cozza contro l’inquietudine dei ragazzi. Quei giorni in cui nessuna aula dovrebbe diventare un campo di battaglia”.
Il ragazzo, ora ricoverato in neuropsichiatria, ha compiuto il gesto, ha riferito una compagna di classe, dopo che la docente gli aveva annunciato: “a breve ti interrogo in storia per recuperare l’insufficienza“. Il giovane prima sembra che abbia mormorato “mi dispiace”, poi l’ha colpita. La prof, che ha lamentato anche un colpo alla testa, si sarebbe rifugiata in bagno, per poi essere condotta in ospedale, dove le è stata assegnata una prognosi di 35 giorni.
Come riporta Il Corriere della Sera, il primo a soccorrere la docente è stato il vicepreside Davide Rondena. “Elisabetta è una docente a tutto tondo. Presente coi ragazzi e presente anche nel modo del lavoro, interessata alle sue tematiche” racconta, ricordando gli attimi di grande panico: “Il ragazzo che l’ha aggredita io lo definirei un insospettabile. Tant’è che lei stessa, all’inizio non si è resa conto di essere stata accoltellata. Pensava che le fosse caduto addosso qualcosa dal soffitto ed era preoccupata per il braccio perché perdeva molto sangue. L’infermeria era troppo lontana, ho cercare di fermare l’emorragia con una cintura come laccio emostatico e una felpa”.
A prestare soccorso anche Marco Marelli, docente dell’Alessandrini e sindaco di Morimondo. “Una bidella urlava: ‘La pistola, ha una pistola’. Sono salito a vedere. L’aula era aperta e c’era una scia di gocce di sangue che arrivava fino al locale dove la collega si era rifugiata. Dentro c’erano due colleghi che la stavano soccorrendo. Mi sono affacciato all’aula dove c’era il ragazzo, ma era accucciato a terra e vicino c’erano i carabinieri che nel frattempo erano arrivati”.
La Repubblica scrive che poco prima dell’aggressione era appena iniziata una prova di italiano sui Promessi sposi, con gli studenti divisi in gruppi. La docente aveva detto all’alunno che la colpirà che lo avrebbe interrogato più tardi. Gli ha chiesto anche se voglia scusarsi per il comportamento dei giorni precedenti, dello spray maleodorante spruzzato più volte in classe, che ha costretto a interrompere le lezioni e addirittura a cercare una nuova aula. O delle lavagne elettroniche che spegneva nel mezzo delle spiegazioni. Lui ha risposto di no. Eppure i suoi comportamenti avevano portato a cinque note, l’ultima pochi giorni fa. I suoi genitori, oggi, dovevano presentarsi a scuola. “Non avevamo segnali di questa gravità – spiega il preside Michele Raffaeli – Ma li avevo convocati per motivi didattici”.
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