In occasione della Giornata mondiale del docente 2022, abbiamo intervistato la scrittrice Stefani Auci (best seller per I leoni di Sicilia e L’inverno dei leoni), ancora oggi, nonostante il successo editoriale, insegnante di sostegno.
Ai nostri microfoni ha commentato il frequente passaggio degli insegnanti di sostegno alla materia, affermando: “È comprensibile, perché a forza di misurarsi con il dolore degli altri, con il disagio, con le difficoltà, ci sta che ci sia un momento in cui psicologicamente dici basta, sono arrivato. Anche tra i miei colleghi, molti hanno vissuto e hanno fatto l’esperienza del sostegno come una sorta di ripiego perché non riuscivano ad entrare; ma molti sono rimasti nonostante le difficoltà” ma non nascondiamoci che è usurante.
Il tema ha riscosso particolare interesse tra i lettori della Tecnica della Scuola, che hanno commentato il precedente articolo arricchendo la questione di nuovi spunti e considerazioni.
Particolarmente interessanti due proposte, che riportiamo:
Giovanni: “A me il sostegno sta dando tantissimo: sia da un pdv umano che da uno professionale. Una esperienza che metterei come obbligo a chi voglia fare questo mestiere”.
Nadia: “Secondo me per trattenere di più i docenti specializzati sul sostegno dovrebbero prevedere la possibilità di fargli fare la cattedra mista. Cosi da permettere loro di staccare anche un attimo da una situazione che comunque ti pressa maggiormente a livello psicologico”.
Ma gli interventi dei lettori sono stati innumerevoli. Giovanna concorda con Stefania Auci: “Misurarsi costantemente con il dolore e i gravi problemi altrui è fortemente impattante, ci vuole una forte motivazione anche per questo. Passare alla disciplina potrebbe essere salutare per tanti. Ma chi non fa con scrupolo attività didattica di sostegno, dubito possa fare bene la disciplina. È una questione di professionalità, ancor prima che di vocazione”.
Antonella: “Non per tutti è così… io mi sto specializzando per il sostegno e il mio obiettivo è di diventare una brava docente di sostegno non solo per il/la mio/a alunno/a ma per tutta la classe e così deve essere anche il curriculare. Quando inizieremo a considerare le cose da quest’altro punto di vista, forse non ci sarà più la disparità tra i docenti curriculari e i docenti di sostegno e nemmeno tra gli alunni perché bisogna imparare ad andare oltre la loro disabilità. Ciò che riescono a dare e le soddisfazioni che si hanno sono indescrivibili”.
Grazia: “Ci vuole professionalità, formazione, empatia, senso del dovere, etica, come in tutte le professioni!!!! Lasciamo stare la vocazione e la missione. In alcuni casi può essere un lavoro usurante a tal punto da andare in psicoterapia, ma può esserlo anche la disciplina, nel caso in cui uno abbia classi particolarmente problematiche. Ripeto, è una professione, non una missione!”
Loretta: “Ho fatto l’insegnante di sostegno per più di 30 anni, era un lavoro che mi piaceva, ci passai dalla classe. Sono andata via per l’insipienza del dirigente che non aveva alcuna cognizione del lavoro che si svolge con i diversamente abili e sguinzagliava il suo scagnozzi per impiegarmi in supplenze favorendo cambi arbitrari di orario. Non si può litigare tutti i giorni a 60 anni. A quel punto ho cambiato tutto, ho abbandonato con rimpianto, ho cambiato ordine di scuola, sono passata su materia e ho trascorso gli ultimi anni di carriera in pace. Però, si rimane insegnanti di sostegno sempre, infatti tutti i ragazzi con problemi venivano sempre da me per parlare”.
Marianna: “Avremmo bisogno di spazi di supervisione da svolgere insieme ai colleghi del team. Affrontare il dolore non è un problema esclusivo dell’insegnante di sostegno, che peraltro è il più attrezzato per farlo”.
Irene: “Veramente chi passa alla classe è perché come docente di sostegno non si sente appagato, a causa di molti docenti di classe che fanno sentire il docente di sostegno, se pur con competenze in più e quindi più abilitato, di serie B. Chi resta è perché nonostante tutto ha ancora una forte motivazione…. Dipende tanto dal team con cui si lavora, ma questo vale sia per la materia che per il sostegno. Anche i governi e le riforme scolastiche che si susseguono, i dirigenti scolastici e chi di dovere dovrebbero valorizzare maggiormente questo ruolo facendo capire che si è docenti di classe a tutti gli effetti e non docenti di un alunno. Purtroppo nel 2022 tutto questo non è scontato, né a colleghi né a genitori”.
Marialaura: “Io sono un’insegnante di sostegno, ho iniziato con il sostegno come via obbligata ma mi sono innamorata di ciò che faccio che non reputo un lavoro ma una missione. Aiutare i bambini con disabilità mi ha dato tantissimo. Ho scelto di prendere il TFA per poter avere maggiori competenze proprio per essere di aiuto nel migliore dei modi. Inutile dire che non cambierei posto per nessuna ragione al mondo. Essere trattati da insegnante di serie B? Non l’ho mai permesso a nessuno…. anzi in qualsiasi classe io entri, divento punto di riferimento sia per tutti gli alunni che per i colleghi. Reputo sia una questione di carattere personale e di colleghi intelligenti che ho avuto ed ho! Adoro quello che faccio ed ogni giorno quando torno a casa, dopo tutti gli abbracci di saluto dei miei bambini, sono la persona più stravolta ma felice del mondo”.
Chiara: “Sono specializzata dal 1990, ho 61 anni, insegno sostegno da sempre e mi considero una privilegiata: ho dato tanto, ma ho ricevuto molto di più”.
Ornella: “A volte si passa alla materia perché non si sopportano più i colleghi curricolari che cercano sempre di trattarti come una tirocinante nonostante una sia laureata e specializzata sul sostegno e loro con un semplice diploma credono di saperne più di te imponendoti delle cose. Spesse volte non hai nemmeno voce in capitolo e devi adattarti sempre alle loro scelte, cosa che considero non giusta”.
Maria: “Sono ventisei anni che lavoro come insegnante di sostegno, sono soddisfatta, non mi sento né usurata, né frustrata dai colleghi, ho saputo sempre il fatto mio e sono stata stimata e rispettata anche da dirigenti e genitori. Dagli alunni a cui dovevo tanto, ho ricevuto molto di più di ciò che ho dato. Spero di farcela ancora”.
Maria Aurora: “Ho fatto l’insegnante di sostegno x 43 anni…. Mi reputo super fortunata… Esperienza arricchente! Credo di aver ricevuto dai miei piccoli amorosi alunni più di quanto io abbia potuto dare. Ci sono parecchi momenti scoraggianti, ma non c’è conquista senza sacrificio. È stata una stupenda avventura. Amateli, vi seguiranno e rispetteranno!”
Monica: “Qualcuno usa l’inserimento su sostegno come passerella, non facciamo gli ipocriti. Meno del 10% presta convintamente il proprio sevizio sul posto di sostegno”.
Laura: “Chi lavora nella scuola è sempre a contatto con dolore e disagio. Poi i ragazzi danno soddisfazione, ovviamente non tutti. Il mestiere dei docenti tutti è usurante, nella sua complessità e nella fatica delle relazioni”.
Gabriella: “Io ho insegnato su sostegno per 26 anni. La mia è stata una scelta. E per scelta sono passata alla classe convinta di non riuscire più a farmi carico di quel tipo di specificità. Ma mi sbagliavo. Se un’insegnante lavora con professionalità ed empatia, lo farà sempre, qualunque cosa insegni”.
Claudia: “Ho fatto il sostegno per anni e mai mi sono sentita di serie b, anzi spesso il contrario. Credo piuttosto che dovrebbe essere considerato usurante perché il dolore e le difficoltà che incontri a volte sono insostenibili sia per le famiglie (lasciate sole) sia per i docenti…”
Marina: “Veramente sono quasi 30 anni che lavoro nella stessa scuola, ho sempre avuto un bambino con il sostegno, ma ho avuto un insegnante di sostegno per 3 anni, non di seguito, con il titolo. Insegnanti che cambiano tutti gli anni, a volte più insegnanti nello stesso anno, a cui va impostato il lavoro, le modalità, i tempi… anche quest’anno devo ricominciare da capo con una bravissima persona che non ha però nessuna idea, né esperienza. Devo dire che sono esausta e il mio lavoro è veramente usurante. Mi piacerebbe avere, ma non accadrà, qualcuno con cui impostare e condividere un lavoro sulla classe, scambiando i ruoli nelle attività, creando percorsi utili a tutti”.
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