La petizione promossa da Salvo Amato e dal suo gruppo FB Professione Insegnante per l’abrogazione della norma sul docente esperto contenuta nel decreto aiuti bis sta rapidamente arrivando a 50mila firme: un successo straordinario, peraltro prevedibile, tenuto anche conto dell’ondata di proteste che si è sollevata fin dal momento dell’approvazione del decreto.
Decreto che, come abbiamo già avuto modo di ricordare, dovrà essere convertito in legge dal Parlamento (il percorso inizierà al Senato, a partire dal 6 settembre).
Il provvedimento, come abbiamo avuto modo di documentare in questi giorni, ha raccolto molte bocciature e pochissimi consensi.
I sindacati si sono schierati contro, evidenziando in particolare che se ci sono soldi da spendere per i docenti, bisogna usarli innanzitutto per incrementare le risorse finalizzate al rinnovo del contratto nazionale.
Le forze politiche, per il momento, non si espongono più di tanto anche se Ella Bucalo e Paola Frassinetti di Fratelli d’Italia parlano di una norma del tutto sbagliata aggiungendo anche che l’adeguamento degli stipendi dei docenti è ormai ineludibile.
Il Movimento di Cooperazione Educativa, in un documento ufficiale della segreteria nazionale, evidenzia che la norma è largamente inadeguata anche perché propone una figura di “docente esperto” formato “in solitudine” e non, come dovrebbe essere, capace di collaborare e stimolare i processi innovativi all’interno della propria scuola.
Considerazioni analoghe vengono proposte da Beppe Bagni, presidente nazionale del CIDI, che, sul suo profilo Facebook, riferendosi al percorso formativo che dovranno seguire i docenti “esperti”, scrive: “Sono sicuri questi docenti di uscire più esperti nel loro lavoro? Di saper meglio collaborare con i loro colleghi in un lavoro quotidiano che porta risultato solo se è collaborativo e coerente tra tutti gli adulti che prendono parte all’impresa e soprattutto con gli allievi che avrà di fronte? Avrà trovato il tempo, con il peso di tanto studio personale e individuale, per imparare ad ascoltarli e saper scegliere non la metodologia più in voga ma i contenuti e in percorsi più adatti per far crescere ciascuno di loro?”.
Più sfumata la posizione di Paolo Fasce, dirigente scolastico di un istituto nautico di Genova che, in un’articolo pubblicato su Linkiesta, ricorda: “La figura esiste già in altri Paesi. Ad esempio in Francia è consolidata da decenni quella del professore ‘agrégé’, un/a docente che ha superato un concorso bandito dallo Stato ogni anno su numeri che dipendono dal fabbisogno su ciascuna materia; al conseguimento della qualifica, quest’insegnante lavora con un orario ridotto (15 ore invece che 18) e uno stipendio più alto (di circa 200 euro al mese)”.
Ma – aggiunge ancora Fasce – in realtà nella scuola italiana gli insegnanti esperti ci sono già: “Diversi anni fa, Dario Ianes, docente di pedagogia speciale, parlava di questi docenti come ‘risorse latenti’. Quelle specializzate sul sostegno, con master in didattica e psicopedagogia degli alunni con funzionamento nello spettro autistico o con disturbi specifici di apprendimento, ma anche esperti di questa o quella tecnologia o di questa o quella tecnica didattica. Forse sarebbe stato utile cominciare con loro, come fanno in Francia, con un concorso”.
Una considerazione analoga arriva dal dirigente scolastico ligure Antonio Fini che, sul proprio profilo FB, osserva: “Non servono premi per “esperti”; ciò che serve alla scuola (oggi, non nel 2032!) è semplicemente (si fa per dire…) la definizione di una normativa che ufficializzi la situazione di fatto. Basta consultare il sito web di qualsiasi istituto per imbattersi nella voce ‘Organigramma’. Ohibò, ma se nella scuola non ci sono altro che docenti, tutti uguali, tutti con le stesse mansioni, a che servirà mai un organigramma?”
Secondo Fini si potrebbe pensare ad una struttura base da adattare alle esigenze di ciascuna scuola:
– 1-2 vice, con reali poteri di sostituzione temporanea del DS (max 30 giorni continuativi), con incarico pluriennale;
– coordinatori di sede, per le scuole su più plessi, con incarico preferibilmente pluriennale;
– coordinatori dei dipartimenti disciplinari e/o di classi parallele, con incarico pluriennale (nelle scuole anglosassoni si chiamano “Head of …” e hanno importanti compiti di supporto alla didattica);
– coordinatori di classe, con incarico annuale;
– altre funzioni di staff (ex funzioni strumentali, responsabili dei laboratori, referenti).
Ma come si potrebbe diventare “esperti” se si dovesse adottare un modello del genere?
Antonio Fini ha una sua proposta “Per accedere alle funzioni, si presenta una domanda, esibendo il CV e dimostrando di possedere le necessarie competenze (acquisite anche mediante formazione, come si fa comunemente in qualsiasi lavoro). La decisione sugli incarichi è affidata al DS, coadiuvato dal comitato di valutazione, i cui membri, sempre eletti, devono però essere retribuiti”.
“Ecco – conclude Fini – così cominceremmo a somigliare ad un’organizzazione seria”.
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