La Corte d’appello di Trento condanna l’istituto scolastico privato “Sacro Cuore” per non aver rinnovato il contratto ad una docente di educazione artistica perché lesbica.
Infatti, la scuola dovrà pagare 45mila euro alla donna discriminata, ma anche 10mila euro dovranno essere pagati alla Cgil e all’Associazione radicale Certi Diritti, come si legge su Il Fatto Quotidiano.
Secondo la Corte d’appello è stata “accertata la natura discriminatoria per orientamento sessuale, individuale e collettiva, della condotta attuata dall’Istituto delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù di Trento in ordine alla selezione per l’assunzione degli insegnanti” e va ordinata “all’Istituto l’immediata cessazione di tale condotta”.
Soddisfatta la donna, che ha ricevuto la notizia della vittoria del ricorso proprio lo scorso 8 marzo: “mi ritengo finalmente reintegrata nella mia dignità di docente e di donna, fatto che assume una particolare importanza proprio oggi. Il riconoscimento espresso della falsità delle dichiarazioni era per me prioritario, al di là di ogni risarcimento di denaro. È stata accertata la diffamazione e la ritorsione che ho subito con le dichiarazioni dell’Istituto alla stampa nazionale”.
La docente puntualizza: “Nulla di peggio si poteva dire a un’insegnante se non che abusava del proprio ruolo per turbare i ragazzi. E sono anche contenta che in Italia si ribadisca che la vita privata di ognuna e ognuno è per l’appunto privata e che nessun datore di lavoro può entrare nelle nostre famiglie e chiedere chi siamo, chi amiamo o se vogliamo come donne abortire o meno”.
“Le ragioni della sentenza di primo grado, di affermazione della discriminazione diretta e della discriminazione diretta collettiva, scrivono i giudici, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, non sono affatto frutto di grossolani errori, sviste, omissioni e fraintendimenti, e vanno condivise”.
Soddisfatto anche il segretario provinciale della Cgil, Franco Ianeselli: “ci siamo impegnati su questo caso perché siamo convinti che nessun lavoratore o lavoratrice possa essere giudicato o discriminato per il suo orientamento sessuale. Coerentemente con questo principio siamo pronti a usare il maggior risarcimento riconosciuto alla nostra organizzazione a sostegno di progetti per le pari opportunità e contro le discriminazioni”.
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