Il percorso scolastico di ognuno di noi, dalla scuola dell’infanzia all’Università, porta con sé la memoria di tutti gli insegnanti che abbiamo incontrato: in particolare, alcuni hanno lasciato un segno e ciò che li accomuna, oltre alla loro capacità professionale, è indubbiamente il loro stile.
L’incontro tra studente e docente, prima ancora dell’ascolto dei contenuti della lezione, passa attraverso un insieme di dettagli visivi, uditivi, corporei che appartengono all’ambito della comunicazione non verbale; così come accade nella relazione terapeutica, allo stesso modo anche in classe, durante i primi minuti di lezione “ci si annusa” e “ci si affida” reciprocamente.
Lo stile di un insegnante comunica innanzitutto attraverso il corpo: con la sua postura, con le sue espressioni del viso e con la sua voce; da come si muove nell’aula, da quale posizione assume di fronte agli studenti si può comprendere quanto è a suo agio in una situazione così impegnativa, caratterizzata da sguardi giudicanti e talvolta impietosi.
Per questo motivo, il docente attraverso ogni suo gesto comunica il rispetto e la conoscenza della sua materia d’insegnamento: dal suo stile traspare la cura che ha dedicato alla preparazione delle lezioni e la scelta di eventuali approfondimenti; allo stesso modo decide di usare la cattedra come una barricata per difendersi o si muove tra i banchi affrontando gli sguardi curiosi, senza tralasciare nessuno, compresi quelli che lanciano sfide impertinenti.
Inoltre, lo stile di un insegnante scorre nella sua voce: toni alti, striduli, gravi, flebili, martellanti; quanti ricordi legati alle voci dei nostri maestri nelle aule, nei corridoi e ancora risonanti a distanza di anni.
In questo modo la Scuola diventa teatro di un’esperienza che va oltre la trasmissione di conoscenze, poiché la parola traccia solchi indelebili nella memoria fisica ed emotiva dei protagonisti, consentendo di vivere un’esperienza che sortirà effetti durevoli e significativi.
L’esperienza di un’ora di lezione non è solo un’opportunità di conoscenza, ma anche un’occasione di trasformazione: la parola del docente dà luce al testo oscuro, lasciando spazio all’interpretazione personale e al desiderio di approfondimento e di sapere, oltre lo spazio scolastico.
In passato il ruolo di docente godeva di un indiscusso privilegio: quello di venire rispettato per il fatto stesso di ricoprire un ruolo riconosciuto dalla Società, dalla Famiglia e di conseguenza dagli allievi; oggi la Scuola deve fare i conti con problemi oggettivi dettati da difficoltà di ordine politico, sociale, ed economico.
L’insegnante è sempre più solo, come ci ricorda Massimo Recalcati, reduce dalla rottura del patto generazionale con i genitori dei suoi allievi; famiglie complici e alleate dei propri figli, poco riconoscenti e pretenziose, impegnate ad impedire frustrazioni e insuccessi.
A questo proposito, un’altra autorevole voce, quella di Umberto Galimberti, auspica docenti “affascinanti” , che sappiano cioè educare e scoprire la risonanza emotiva dei loro allievi, che li aiutino ad individuare le componenti diverse della loro intelligenza, fornendo parole per formulare pensieri e scopi per guardare al futuro con fiducia.
Quando si pone la questione ai diretti interessati, cioè si domanda agli studenti chi è secondo loro “il bravo maestro” le loro risposte sono eloquenti: il bravo docente è quello severo ma non troppo, sincero, che sa sorprendere, equilibrato, che possiede senso dell’umorismo, che sa riconoscere i propri errori e li aiuta a riconoscere i loro.
In conclusione, i giovani chiedono ogni giorno un’ora di lezione che possa cambiare la loro vita, che rinnovi il loro desiderio di imparare; compito arduo rivolto alle figure adulte di riferimento: un genitore, un maestro, un educatore che non “vorrebbe essere in un altro luogo. Desidera essere dov’è”.
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