La vicenda di Palermo, dunque, con una docente sanzionata solo perché alcuni ragazzi di una sua classe avevano sviluppato in un certo modo il compito assegnato, ha avuto una grande eco in tutta Italia.
La retromarcia veloce da parte di molti rispetto all’episodio, ingigantito da un provveditore talmente zelante da far capire soprattutto che ne capisce poco di scuola, sperando in uno zelo non a secondi fini, speriamo chiuda definitamente la vicenda.
La polemica, almeno, ha portato all’evidenza la domanda: ma la scuola è la cinghia di trasmissione delle ideologie dei potenti di turno, o, invece, è ancora il luogo nel quale si ricerca, si matura, si condivide, possibilmente, un senso critico nei confronti di ogni aspetto della realtà?
Al di là dei richiami costituzionali, che mettono al riparo la scuola stessa da certi rischi da Minculpop, credo sia giusto dire che, nel suo compito, la scuola è rimasta forse l’unico e l’ultimo luogo di riflessione aperto oggi, al di là delle differenze di indirizzi di studio, delle tante materie da studiare, delle opinioni dei presidi e dei docenti, dei vari contesti sociali.
Anzitutto, sul piano educativo e sociale è rimasta l’unico e ultimo luogo nel quale si pratica, al di là anche dei limiti di risorse, di struttura, di diversità di opinioni, l’inclusione, la cooperazione. Dunque la solidarietà.
Luogo dunque di educazione alla vita, alla cittadinanza, alla condivisione, alla complessità.
Il che non significa che tutto sia rose e fiori, sapendo della fatica di condividere idee, progetti e responsabilità che tutti tocchiamo con mano ogni giorno.
Ma, appunto, anche questa fatica ci dice che la scuola è lo specchio della vita.
Nel senso che è oggi, lo ripeto, l’unico e ultimo suo laboratorio vivente.
Il quale produce, o cerca di produrre, pensiero positivo, passione, relazioni, fiducia nel presente e nel futuro, nonostante tutto e tutti.
Dunque, teniamoci stretta questa nostra scuola.
Ed ogni tanto, quando la guardiamo in controluce, cerchiamo di guardare al bicchiere mezzo pieno, e non solo a quello mezzo vuoto.
Invito pertanto tutti, a partire dai genitori, a fidarsi un po’ di più dei docenti, a comprendere anche le complessità, a costruire con i loro figli, pensando a certe contraddizioni, pensieri positivi e generatori di positività.
Non solo.
Vorrei invitare i ragazzi e le famiglie alla prova del nove: a capire se la scuola è tra le priorità di questo nostro Paese, oppure solo luogo di rifugio retorico.
Perché la scuola vuol dire futuro, vuol dire fiducia nei giovani. I quali sono migliori di come di solito vengono dipinti.
Solo che hanno bisogno di adulti significativi, hanno bisogno di istituzioni non chiuse in se stesse, hanno bisogno di sentieri di speranza.
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