La vicenda della professoressa palermitana sanzionata per il video dei suoi studenti è ad una svolta: Salvini ha annunciato di volerla incontrare e lei ha fatto sapere di non avere nulla in contrario.
Al tempo stesso il ministro Bussetti ha detto di aver disposto gli accertamenti del caso, mentre sindacati e politici stanno chiedendo il ritiro del provvedimento disciplinare.
Ed è proprio su questo punto che potrebbe nascere qualche problema di non facile soluzione: il ritiro di una sanzione non è operazione del tutto semplice, perché i ricorsi vanno proposti sempre al giudice del lavoro, unico organo che può decidere nel merito.
Da quando sono entrate in vigore le norme in materia di privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico non esistono più i ricorsi amministrativi e nemmeno il Ministro può annullare un atto della amministrazione periferica.
Una strada, però, potrebbe esserci anche se raramente viene utilizzata in questi casi: l’Amministrazione potrebbe “agire in autotutela”, come usa dire in termini tecnici, annullando cioè un proprio atto.
L’Amministrazione può ricorrere al meccanismo dell’autotutela quando esiste il rischio più che evidente di soccombere in tribunale; bisogna precisare che, normalmente, il provvedimento in autotutela deve essere adottato dallo stesso organo che ha emanato l’atto che si intende annullare: in questo caso dovrebbe essere lo stesso Ufficio provinciale a revocare il provvedimento.
Nel caso della docente di Palermo le possibilità potrebbero essere due: riesaminando tutti gli atti, anche sulla base delle eventuali rimostranze dei legali della docente, l’Ufficio provinciale potrebbe rendersi conto che il procedimento contiene uno o più errori formali che potrebbero essere considerati non sanabili in sede giudiziaria.
Per esempio il mancato rispetto dei tempi previsti dal decreto Brunetta (il 150 del 2009) è molto spesso causa di nullità del procedimento e con l’entrata in vigore del decreto Madia (il 75 del 2017) anche le modalità con cui vengono notificati gli atti al dipendente potrebbe determinare vizi di procedura.
E c’è anche una seconda possibilità: dalla relazione degli ispettori incaricati direttamente dal Ministro potrebbero emergere fatti nuovi oppure potrebbe essere proposta una diversa interpretazione dei fatti già appurati. Anche in questo caso l’Amministrazione potrebbe rivedere il provvedimento già adottato: non è una procedura consueta, ma è anche vero che il caso della professoressa di Palermo è piuttosto anomalo e va anche considerato il danno di immagine che Ministero e Ufficio provinciale di Palermo stanno subendo a causa della rilevanza mediatica che la vicenda ha assunto.
In proposito va rilevato che in questo momento (mattinata di sabato 18 maggio) la petizione promossa dall’USB ha già raccolto più di 90mila firme.
A conti fatti, quindi, non è da escludere che già nei prossimi giorni l’Amministrazione scolastica riesca a trovare il modo di uscire da una situazione a dir poco imbarazzante.
Rimane fermo il fatto che la revoca della sanzione dovrà essere adottata dall’Ufficio provinciale di Palermo che, forse, non aveva valutato a sufficienza le conseguenze che sarebbero potute derivare dal provvedimento di sospensione della docente.
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