Ancora una sentenza favorevole ad una docente a cui l’algoritmo del Miur ha destinato una sede lontana, pur in presenza di posti vacanti, cagionandole problemi economici e di salute.
Ad accogliere il ricorso, che potrebbe rappresentare un altro precedente di riferimento, un cosiddetto caso “pilota”, per molti altri docenti, è stato il Tribunale del lavoro di Foggia: i giudici hanno accolto il ricorso di una docente salentina contro il trasferimento in provincia di Foggia.
La docente, difesa dagli avvocati Graziangela Berloco e Gianluigi Giannuzzi Cardone, lamentava di essere stata trasferita in base ad una graduatoria che non avrebbe tenuto conto dei reali punteggi.
Il giudice del lavoro Roberta Lucchetti, con sentenza depositata lo scorso 21 dicembre, riporta l’Ansa, ha quindi ordinato al ministero dell’Istruzione di trasferire la docente ricorrente ad una sede di lavoro in provincia di Lecce. Dopo questa sentenza cautelare, il giudizio di merito si celebrerà a partire dal prossimo 13 aprile 2017.
I legali della docente annunciano, inoltre, che stanno predisponendo una nuova ondata di ricorsi “in attesa che il nuovo ministro dell’Istruzione voglia seriamente prendere in considerazione il dramma personale e familiare di migliaia e migliaia di lavoratori della scuola”.
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“È evidente la illegittimità dell’operato dell’amministrazione scolastica, – si legge nella sentenza – laddove ha assegnato le sedi vacanti e disponibili a docenti con punteggio inferiore“.
“È innegabile – continua il giudice – che il trasferimento presso una sede lavorativa distante circa 250 km dal proprio luogo di residenza incida negativamente sulla vita personale e di relazione della ricorrente, comportando uno stravolgimento delle proprie abitudini di vita, e si configuri come estremamente gravoso sotto il profilo economico“.
E ancora: “a seguito della comunicazione di trasferimento – è spiegato in sentenza – le condizioni di salute della ricorrente hanno registrato un netto peggioramento per l’insorgenza di uno stato di disagio psicologico“.
Secondo il giudice “tali conseguenze pregiudizievoli, lesive di prerogative e diritti costituzionalmente tutelati, sono adeguatamente evitabili con un provvedimento di natura cautelare idoneo a preservare il diritto invocato, verosimilmente sussistente, durante il tempo necessario a farlo valere in maniera ordinaria”.
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