La scuola, se è un ambiente basato sulla competizione, l’individualismo, l’esclusione, sarà probabilmente un luogo di disagio ed emarginazione, se invece è un ambiente fondato su principi di solidarietà, cooperazione ed inclusione potrà contribuire a creare comunità di apprendimento che possano essere embrioni di comunità sociali solidali e coese, a prescindere dal gruppo etnico o religioso di provenienza e dalla situazione personale e sociale più o meno disagiata, contribuendo così a prevenire situazioni di emarginazione di ogni tipo, comprese quelle che conducono alla folle violenza terroristica.
I valori di riferimento non possono però certo essere quelli prospettati da Francesco Starace: “Basta un manipolo di cambiatori. Poi vanno individuati i gangli di controllo dell’organizzazione che si vuole cambiare (…) creando quindi malessere all’interno del ganglio dell’organizzazione che si vuole distruggere. (…) Appena questo malessere diventa sufficientemente manifesto, si colpiscono le persone opposte al cambiamento, e questa cosa va fatta nella maniera più plateale possibile, sicché da ispirare paura o esempi positivi nel resto dell’organizzazione. (…) Dopo pochi mesi l’organizzazione capisce, perché alla gente non piace soffrire. E’ facile (…) il capo sono io, quindi si fa” (Discorso di Francesco Starace, AD Enel, alla Luiss Business School, 14 aprile 2016).
Malessere, distruggere, colpire, ispirare paura, soffrire.
Purtroppo questi sembrano essere gli stessi valori di un’azione di governo, a cui abbiamo recentemente assistito, in cui ogni voce dissenziente viene negativamente qualificata e calpestata. Dai parlamentari ai sindacati, dalle associazioni ai lavoratori in sciopero, tutti coloro che non si adeguano al pensiero dominante non vengono considerati portatori di idee e di diversità, ma solo fastidiosi ostacoli.
E nella scuola la legge n. 107/2015 sembra proporre un analogo modello di riferimento: se un docente esprime opinioni contrastanti rispetto a quelli del dirigente scolastico, non costituisce una ricchezza per la scuola, ma è un “docente contrastivo” (definizione adottata in un corso di formazione per dirigenti dell’Anp) da eliminare, escludendolo dalla scuola grazie alle possibilità della chiamata diretta; a ciò si aggiunge la competitività tra docenti come riferimento valoriale promosso dal bonus retributivo attribuito dal dirigente.
Questo a dispetto del fatto che la competizione risulti essere in netta contraddizione con le evidenze scientifiche nell’ambito delle scienze dell’educazione (Fullan, Hargreaves, 1991; Sergiovanni, 2000; Wald, Castleberry, 2010; Hattie, 2009, 2012; Mitchell, 2014).
D’altra parte anche le Indicazioni Nazionali per il Curricolo del Miur chiedono di creare un contesto in cui “apprendere il concreto prendersi cura di se stessi, degli altri e dell’ambiente (…) per lo sviluppo di un’adesione consapevole a valori condivisi e di atteggiamenti cooperativi e collaborativi che costituiscono la condizione per praticare la convivenza civile.” (Miur, 2012, p. 33), quindi esattamente l’opposto di ambienti competitivi, che favoriscono lo sviluppo di fenomeni di prevaricazione e di bullismo.
Le più recenti riforme purtroppo non hanno certo agito nella giusta direzione: riduzione delle risorse e maggiore selettività con i voti numerici, durante il ministero Gelmini, accentramento del potere decisionale nelle mani del dirigente e introduzione della competizione tra insegnanti, con la legge 107/2015 di Renzi.
E’ probabile che nella direzione di una scuola efficace ed inclusiva, siano necessari altri cambiamenti che si espongono in modo sintetico, rimandando ad esposizioni più esaustive che verranno pubblicate su altre riviste.
1) Progettazione comune e riflessione sull’agire: organizzare momenti collegiali (collegio docenti, dipartimenti, consigli di classe) efficaci dal punto di vista della progettazione comune, della riflessione critica e della revisione del lavoro svolto, con modalità di aiuto reciproco tra pari, prevedendo le due ore di programmazione settimanale, attualmente previste nella scuola primaria, per tutti gli ordini di scuola.
2) Rapporti con le famiglie: promuovere la formazione nell’ambito della relazione d’aiuto, dell’ascolto, sulla conduzione dei colloqui con i genitori e sulla pedagogia dei Genitori (http://www.pedagogiadeigenitori.info/wp-home.php?page_id=13).
3) Didattica: formazione per l’adozione di una didattica orientata alla promozione dell’aiuto tra pari e di un ruolo attivo degli allievi (apprendimento cooperativo, peer tutoring, discussioni guidate, didattica per competenze) e sulla gestione di classi e di allievi problematici e per lo sviluppo delle competenze sociali
4) Cattedre miste per il sostegno: invece degli attuali cinque anni di obbligo di permanenza sul posto di sostegno potrebbe essere stabilita una permanenza per dieci anni in cui, nel secondo quinquennio (con obbligo di terminare il ciclo scolastico degli allievi che si stanno seguendo), si possa svolgere parte dell’orario di servizio come insegnante curricolare e parte come insegnante di sostegno. Questo potrebbe indurre molti insegnanti a non abbandonare il ruolo di insegnante specializzato, grazie alla possibilità di occuparsi anche delle discipline per le quali si sono laureati.
5) Valutazione formativa: adozione di forme di valutazione formativa che prevedano l’abolizione dei voti (numerici o di qualunque altro tipo) per tutto il primo ciclo di istruzione
6) Non bocciare nel primo ciclo d’istruzione: partendo dal presupposto che la bocciatura non è una punizione, ma un’opportunità di recupero, che però quasi mai funziona (vedi John Hattie 2009, 2012) ed anzi spesso procura, nella scuola media, i problemi più gravi di bullismo e di gestione delle classi, scegliere di non bocciare e puntare invece su una certificazione puntuale delle competenze al termine della scuola secondaria di primo grado, coerente con la realtà. In caso di competenze inadeguate attribuzione di un attestato di frequenza, invece del titolo di licenza media, come è già previsto per gli allievi con disabilità.
7) Valutazione formativa degli insegnanti: interventi di osservazione in classe da parte di consulenti – specificatamente formati e ancora in servizio nelle classi – che, constatata la presenza di problemi relazionali o metodologici del docente osservato, progettano insieme a lui attività di apprendimento e propongono eventuali attività di formazione ritenute necessarie per migliorare le sue competenze. Non agiscono quindi per attribuire premi e punizioni ma per contribuire al miglioramento della qualità della didattica. Qualora ciò non fosse possibile una loro relazione potrebbe avere un valore importante per l’eventuale passaggio ad altra mansione
8) Valutazione formativa delle scuole: una rilevazione nazionale delle competenze dovrebbe non tanto rilevare, come avviene attualmente con i test Invalsi, l’adeguamento a criteri standardizzati, impossibili da rispettare per scuole di territori disagiati, quanto piuttosto il miglioramento rispetto alla situazione iniziale, con test a inizio e fine anno. Ciò allo scopo di aiutare le scuole, e il sistema scolastico nazionale, a verificare l’efficacia delle innovazioni introdotte, non certo a creare un sistema di premi e punizioni che produrrebbe solo un ulteriore peggioramento delle scuole già in difficoltà. La valutazione della qualità delle scuole dovrebbe invece tenere in considerazione indicatori relativi alla capacità di essere realmente inclusive.
Queste proposte partono dall’osservazione quotidiana delle scuole, come insegnante e come formatore che si confronta con centinaia di colleghe e colleghi in decine di scuole diverse, ma con problemi comuni, che potrebbero essere più efficacemente affrontati con risorse adeguate e con alcuni cambiamenti come quelli qui proposti.
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