Ci sono delle parti del discusso decreto legislativo 150/09 che hanno i giorni contati, con più d’una modifica che potrebbe avere effetti diretti sulla scuola.
Il Governo Gentiloni sta infatti lavorando ad un nuovo Statuto del lavoro pubblico: in particolare, la Funzione Pubblica intende presentare la bozza definitiva in Consiglio dei ministri non oltre metà febbraio. Con i sindacati, ovviamente, d’accordo, si vuole far saltare la gabbia che l’entourage dell’ex ministro Renato Brunetta volle mettere alle contrattazioni di comparto.
Con la contrattazione collettiva si intende riequilibrare il rapporto con la legge.
L’obiettivo non è da poco. Innanzitutto c’è da collocare l’assegnazione del merito professionale, che tornerebbe a far parte dei “tavoli” con le Rsu (anche se nella scuola difficilmente si potrà superare la gestione del bonus annuale introdotta con la Legge 107/15).
Con i sindacati, oltre alla valutazione ai fini dei premi da assegnare al personale, si tornerà anche a gestire in modo più diretto mobilità e carriere.
Ma tra le materie che si vuole riportare sul piano della contrattazione, c’è anche la discussa organizzazione degli uffici. Quella su cui già pesava l’art. 25 del Dlgs 165/01 (in particolare il comma 4, che delega “al dirigente l’adozione dei provvedimenti di gestione delle risorse e del personale”).
Anche il successivo decreto di riforma Brunetta della P.A., nel 2009 ha confermato la competenza totale del dirigente scolastico su gestione ed organizzazione degli istituti. Personale compreso.
Nello specifico, il decreto legislativo 150/09 ha “sgonfiato” la contrattazione collettiva, mettendo in discussione l’articolo 6, comma 2, lettere h), i) ed m) del Contratto collettivo nazionale della scuola: si tratta della gestione degli insegnanti in riferimento al Pof, alle assegnazioni del personale, anche Ata, alle sezioni staccate e ai plessi; ai criteri adottati nell’organizzazione il lavoro e l’articolazione dell’orario del personale, oltre che per l’individuazione del personale individuato come meritevole nelle attività retribuite con il fondo di istituto. Oltre che per l’assegnazione dei docenti alle classi, in riferimento ai quali non può discostarsi (se non motivandoli) dai parametri indicati dal Consiglio d’Istituto.
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I sindacati della scuola, all’indomani dell’approvazione della riforma Brunetta, a turno cercarono di contrastarne l’applicazione. Soprattutto nelle parti di scelta esclusiva del ds sul personale ai veri plessi scolastici e su come utilizzarlo. Per un paio d’anni, i Confederali indicarono alle Rsu di non firmare i contratti d’istituto, qualora avessero riscontrato norme interne con i dirigenti posti “al di sopra” del contratto nazionale. Anche sulla gestione del personale.
Nel frattempo, però, in tribunale la stragrande maggioranza dei giudici davano ragione al legislatore ispirato dall’allora ministro Brunetta. E alla fine, anche i sindacati si misero l’anima in pace.
Ora, però, potrebbe tornare tutto in discussione. Prima, tuttavia, tocca risolvere anche la questione aperta dalla Consulta sui tre decreti attuativi della riforma, già diventati legge. Il parere del Consiglio di Stato sulla sentenza sembra agevolare il percorso, facendo salvi gli effetti prodotti dai provvedimenti nel frattempo. La prossima settimana si dovrebbe arrivare a un testo condiviso con gli enti locali sugli aggiustamenti.
A quel punto, potrebbe esserci il via libera ai principi della delega del ministro Marianna Madia e ai capitoli dell’accordo del 30 novembre sottoscritto con i sindacati, finalizzato a sbloccare la contrattazione, ferma dal 2009.
Per questi motivi, il Governo è a lavoro per definire un decreto che, seppure non si concretizzerà attraverso un vero e proprio corposo Testo Unico, avrà un impatto non meno rilevante. A quel punto la legge Brunetta, con diversi poteri gestionali accentrati sui dirigenti, avrà le ore contate.
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