In attesa del concorso ordinario, da bandire entro fine anno solare, comincia ad essere presa di mira dai giudici la modalità di assumere a tempo determinato migliaia di docenti di religione, per licenziarli a fine anno scolastico e riassumerli quello successivo, se va bene e se la diocesi conferma l’idoneità. A seguito della sentenza della Corte di Giustizia europea del 13 gennaio scorso, che ha condannato l’abuso dei contratti a termine sottoscritti dai docenti di religione che hanno svolto più di 36 mesi di servizio, con tanto di 30% “fisso” di supplenti gestiti in modo diretto dalla Cei, cominciano ad essere pubblicate le sentenze delle Corti d’Appello su tale pratica tutta italiana. Una pratica, tra l’altro, che viene sistematicamente attuata anche per i docenti di disciplina comune.
Le sentenze catanesi
Con quattro sentenze, la Corte d’Appello di Catania ribadisce, infatti, i principi affermati nella sentenza della CGUE, ossia che l’idoneità e l’eventuale sua revoca non costituiscono un motivo obiettivo per giustificare la reiterazione dei contratti a tempo determinato oltre i 36 mesi di servizio.
Inoltre, ribadisce la Corte che l’uso dei contratti a tempo determinato in successione degli insegnanti di religione si giustificherebbe solo nel caso di un fabbisogno provvisorio, mentre, al contrario, si tratta di una necessità duratura.
Il giudice accerta il diritto leso per mancata assunzione
Spetta al giudice nazionale accertare l’abuso e “sanzionare debitamente tale abuso e eliminare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione”, cioè spetta al Giudice la decisione della conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato.
“Le sentenze confermano il diritto al risarcimento del danno, già definito in primo grado, nella misura di un totale per tutti i ricorrenti di un milione di euro”, dice Orazio Ruscica, leader del sindacato Snadir, che continua a raccogliere ricorsi per chiedere la stabilizzazione degli insegnanti di religione cattolica.
“Queste prime sentenze, successive alla pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 13 gennaio, confermano quanto affermato dallo Snadir sin dal 2011, con i primi ricorsi, e confortano per il proseguo dei ricorsi a tutela dei precari insegnanti di religione”, conclude il sindacalista.