È sempre più vero: la condizione odierna degli insegnanti è avvilente, sconfortante, volte odiosa. E, con la minaccia incombente della regionalizzazione, rischia di peggiorare ulteriormente: abbiamo già più volte spiegato perché.
I docenti, però, devono smetterla di piangere su se stessi, e riprendere l’iniziativa. Ossia essere coscienti di sé e della situazione, con pessimismo della ragione e ottimismo della volontà. Come fecero tanti Italiani in tempi anche recenti, e molto più bui del nostro.
Abbiamo già visto la figura luminosa del Professor Pilo Albertelli, Docente di filosofia, storia, italiano, latino e greco, intellettuale raffinato; ma anche concreto e pronto all’azione. In lui la cultura classica aveva generato pensiero critico, ed il pensiero critico aveva prodotto l’esigenza della coerenza tra pensiero e azione. Sapeva di poter pagare con la vita il proprio impegno.
Fu assassinato alle Fosse Ardeatine, il 24 marzo 1944, con altri 335. Medaglia d’oro al valor militare. Aveva 36 anni.
Raffaele Persichetti era giovane, molto giovane. Nato Roma nel 1915, aveva studiato nel Liceo Classico Statale “Ennio Quirino Visconti” (il più antico di Roma, già sede del gesuitico “Collegio Romano”), il cui nome ricordava l’archeologo, sostenitore e console della rivoluzionaria Repubblica Romana del 1798-99. Raffaele si diplomò in anticipo, nel 1933, da privatista, nel parimenti storico Liceo Classico Statale “Terenzio Mamiani”. Divenne tenente dei granatieri, poi congedato per invalidità. Tornò quindi al “Visconti” quale Docente di Storia dell’arte. Professore anche lui. Professore antifascista.
Un giorno una squadraccia di camicie nere, urlando «Fuori tutti!», irruppe nella classe in cui egli faceva lezione. «Non mi sento di dar vacanza ai miei studenti senza un esplicito invito del Preside», rispose, fermo e dignitoso, il Professor Persichetti. Gli “intrepidi” fascisti lo picchiarono selvaggiamente sotto gli occhi degli studenti. Ma non lo piegarono. Alto un metro e novanta, Raffaele era un bel giovanotto, dotato di una cultura classica ed internazionale, con una aristocratica erre moscia, e spiegava l’arte indossando la divisa da tenente dei granatieri, ma in modo vivo, senza retorica né accademismo. Dopo l’aggressione, venne a scuola per mesi con testa e spalle fasciate: restando però piacevole, distinto e fine. Lo testimonia Vittoria Ottolenghi (1924-2012), scrittrice e giornalista che era stata sua alunna al “Visconti”, e che raccontò l’aggressione.
Nel 1942, a 27 anni, Persichetti aderì al Partito d’Azione. Era con Albertelli e altri membri del Partito alle prime ore del 9 settembre 1943, quando si ebbe notizia dei primi scontri con i Tedeschi invasori al Ponte della Magliana. Decisero di agire, praticamente disarmati, o armati al massimo di qualche revolver. Come nel 1849, al tempo della Repubblica Romana di Mazzini, Garibaldi e Ciceruacchio, il popolo di Roma affrontava spontaneamente il regime e lo straniero. Il 10 settembre, alle 12,30, Persichetti fu visto, con un fucile e la cartucciera sugli abiti civili, guidare un manipolo di civili e militari contro i corazzati nazisti. Dovettero ripiegare, ma lo fecero dopo un’ora e mezza di fuoco, quando Raffaele già perdeva sangue. Morì nel pomeriggio, ancora combattendo, Viale Giotto. Medaglia d’oro al valor militare alla memoria: la prima medaglia d’oro della resistenza. Insieme a lui morirono nella Battaglia di Porta San Paolo ben 400 civili (tra cui 43 donne). Se lo ricordino quanti denigrano la Resistenza e cercano di sminuirne la portata.
Anche Francesco Viviani era Docente: le foto ce lo mostrano sorridente e alla mano, sobrio nella sua semplice eleganza. Nato Verona il 20 dicembre 1891, si diplomò nel Liceo Classico Statale “Scipione Maffei” della sua bellissima città natale (forse il più antico Liceo italiano tuttora in funzione), e si laureò a Padova in Lettere e filosofia. Ufficiale di complemento nella Grande Guerra, venne subito controllato dal regime di Mussolini come “sovversivo”. Nel 1925 risultava schedato nel Casellario Politico Centrale (attivo fino agli anni ‘60!) quale antifascista: “macchia” che gli valse la sospensione dall’insegnamento per tre anni. Ma il Professor Viviani non si arrese. Per tutti gli anni ‘30 scrisse articoli di musica e letteratura sul ferrarese Corriere Padano.
Riprese a insegnare greco e latino nel 1929 al Liceo Classico Statale “Ariosto” di Ferrara, dove lavorò fino al 1936. Il filologo Lanfranco Caretti (1915-1995), suo allievo, ricorda che Viviani sapeva demistificare il fascismo paragonando il presente ad analoghi esempi storici. Fra i suoi allievi anche Giorgio Bassani (autore di molte opere, tra cui Il giardino dei Finzi Contini).
Anche il Professor Viviani era pronto a pagare il prezzo della propria libertà. Vedremo in un prossimo articolo quale sorte incontrò.
Meditare su questi esempi può e deve dar forza a chi si crogiola nella depressione e nella sfiducia. Perché cambiare si deve e si può. Gli esempi della Storia sono infiniti, e dimostrano che sono le minoranze attive il motore della Storia medesima; non le maggioranze acquiescenti e remissive, pronte al massimo a mugugnare davanti alla macchinetta del caffè.
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