Dovranno subire un processo penale, per difendersi dall’accusa di violenza privata, i due dirigenti scolastici, i due maestri e la psicologa finiti sotto inchiesta dopo la denuncia dei genitori di un alunno del Convitto ‘Vittorio Emanuele’ di Arezzo, dopo che tre anni fa uno dei presidi era stato già condannato per omissione di atti d’ufficio.
Il rinvio a giudizio – scrive l’Ansa – è stato deciso dal gup Giampiero Borraccia dopo che la Cassazione, il 5 settembre scorso, aveva annullato il non luogo a procedere pronunciato in precedenza nei confronti di cinque indagati.
La prima denuncia alla procura della Repubblica, era stata presentata nel 2010, dopo che i genitori aver saputo che il figlio, con tutta la sua classe, era stato sottoposto a un periodo di osservazione clinica da parte della psicologa dell’istituto scolastico: la donna era stata incaricata di esaminare, durante le lezioni, per un periodo complessivo di circa due mesi e con cadenza di due ore settimanali, il comportamento degli alunni.
Il coinvolgimento nel processo dei due maestri è dovuto al fatto che erano stati loro a chiederne l’autorizzazione del progetto al dirigente scolastico, Senza tuttavia preoccuparsi di comunicarlo alle famiglie dei bambini di sette anni. E, soprattutto, di chiederne il preventivo consenso per l’avvio dell’attività.
Le indicazioni che giungono da questo caso toscano, quindi, sono le seguenti: un docente che avvia un’attività rilevante all’interno della classe, coinvolgendo esperti esterni non abilitati all’insegnamento, ha sempre l’obbligo di tenere informati i genitori.
Qualora, infatti, anche un componente di una famiglia degli allievi iscritti dovesse opporsi all’iniziativa, la presenza dell’esperto non insegnante verrebbe meno. Negare questo iter può comportare guai seri, perché si rischia di incorrere nel reato di violenza privata, aggravata dal fatto che si attua verso dei minori.
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