Dura a morire, è rimasta e continua a rimanere (neanche tanto sottotraccia) nell’opinione pubblica e nelle Pubbliche Istituzioni, l’“immortale” convinzione che gli insegnanti, in fin dei conti, lavorino poco e, non contenti, cerchino anche di limitare quel poco lavoro a loro assegnato (‘nulla facenti’ ci chiamavano una volta). Ora a queste opinioni discutibili (per non dire false) si è aggiunto anche il sospetto che molti docenti, in questa società ‘liquida’ e caotica, non siano in grado di insegnare bene, abbiano una preparazione ‘offuscata’, siano privi delle motivazioni di un tempo (almeno i più anziani) e non sappiano rinnovarsi, ‘integralmente’, per svolgere bene il loro lavoro. Insomma davanti ad una utenza sempre più difficile e problematica (un’infinità di ragazzi fragili) molti insegnanti non sanno come agire, operano in maniera non corretta e finiscono per essere addirittura deleteri verso gli alunni.
Se i ragazzi vanno male, quindi, la colpa è essenzialmente o solo dell’insegnante non anche (in maggior parte) dei poveri e disorientati allievi, come un minimo di buon senso porterebbe a far pensare.
Tristemente ‘fantastico’, siamo arrivati al paradosso: gli insuccessi scolastici dipendono esclusivamente dal docente (certo la responsabilità potrebbe essere anche sua, ma in misura limitata), non dall’inerzia, il poco impegno o i limiti (non sempre superabili) dell’alunno. Allora, se questo è il ‘distorto’ pensiero che si aggira nei Palazzi bisogna subito correre ai ripari, controllare e agire subito per arginare il pericolo. In parte questo è già stato fatto. Quale docente, ormai da anni, non è oppresso dall’obbligo (non forse così
stringente) di dover sottomettersi a discutibili corsi di aggiornamento imposti dall’alto, come se lui, da solo, non fosse mentalmente in condizioni di capire se, quando e come aggiornarsi. Ma non basta.
A questa imposizione (a volte, fortunatamente, solo formale) si è aggiunto (almeno sulla ‘carta’) un misterioso comitato di valutazione per docenti già di ruolo destinato a valutare non si sa bene cosa e,
comunque, con criteri prettamente teorici o addirittura astratti. Ultimamente, poi, qualcuno ha ben pensato di utilizzare le prove INVALSI come strumento di valutazione docenti. Ora, questo tipo di prove, a parte la loro esigua affidabilità, non erano forse state create per alunni? Si, ma possono andare bene (per chi si accontenta) anche per i docenti. Infatti, se i risultati degli allievi non sono validi, la colpa, ovviamente, ricadrà sui docenti, incapaci di preparare adeguatamente gli alunni. Certo, lo ripeto, in un lavoro di gruppo (pur con la necessaria divisione dei ruoli) tutti sono responsabili di vittorie o sconfitte, ma addebitare la maggior parte della colpa (o l’intera colpa) ai docenti, giustificando così, le oggettive difficoltà, il disinteresse o l’immaturità degli alunni, è veramente assurdo!
Test psico-attitudinali per tutti (docenti nuovi e vecchi). Ecco la geniale soluzione a cui è arrivata qualche acuta mente. Basta andare dallo psicologo e tutti i problemi del docente (la poca motivazione, lo stress, la depressione, l’inerzia nell’aggiornarsi) saranno risolti. Facile soluzione, facile e poco credibile, anche perché i dati affermano che già una percentuale alta di insegnanti si avvale o si è avvalsa (per sopportare il logorante lavoro di insegnare) della psicologia. Con che risultati? Difficile a dirsi. Comunque, secondo un recente sondaggio, sembra che quasi il 70% dei docenti sia d’accordo a sottoporsi a test di valutazione in itinere (indecifrabili questi colleghi !).
E se si venisse a scoprire (potrebbe avverarsi) che insegnanti ancora giovani o con una carriera trentennale (e bruciati dal lungo e ‘massacrante’ compito di educare) non sono nelle condizioni giuste per poter continuare a insegnare adeguatamente cosa si farebbe? Costanti e fitti corsi di ‘ammodernamento’(ma valgono sul serio?), trasferimento ad altri incarichi, demansionamento ‘giustificato’ o, scelta radicale, licenziamento? Sì, anche quest’ultima opzione, in una società dove i diritti sono sempre più erosi o cancellati, sembra non essere del tutto scartata.
Ultimamente un noto psicologo, filosofo, dall’alto della sua posizione (una posizione non sempre a contatto con la realtà scolastica) non ha esitato ad individuare uno dei motivi del malessere scolastico proprio nei docenti (hanno già loro tanti malesseri!). Gli insegnanti di ruolo poco comunicativi, non carismatici e demotivati, devono essere lentamente allontanati (o riconvertiti), bisogna abolire il ruolo, togliere l’inamovibilità, ‘segregare’ questi brutti docenti che per anni sono stati dannosi per la scuola. Ma sì, ‘buttiamoli’ via (che non portino altri mali) lasciamoli senza lavoro o li condanniamo (nonostante l’età) ad essere precari a vita, vacillanti fino alla morte, senza più alcuna certezza o garanzia. Insomma una legge della giungla, una selezione naturale, solo ai ‘migliori’ (ma chi sono i migliori) sia dato spazio, per gli altri una vita d’inferno.
Ora è evidente che parlare di demotivazione, difficoltà comunicativa, atteggiamento demotivante, così, in modo generico e vago e, magari, senza una vera e prolungata esperienza di insegnamento nelle scuole, non ha alcun senso.
Ancora più evidente, poi, è che i complessi problemi della scuola non si possono risolvere con inadeguate e ‘presuntuose’ semplificazioni.
Forse l’atteggiamento più saggio sarebbe quello di lasciare tranquilli i docenti (non sono così pigri e oziosi come qualcuno pensa, credetemi) e metterli soltanto nelle condizioni ideali per svolgere il loro lavoro, assai difficile. Qualche aggiornamento (ogni tanto) potrebbe anche essere utile, una visita dallo psicologo, non obbligatoria, potrebbe anche giovare, poi basta.
Lasciateci lavorare con serenità, senza troppi controlli. Solo questo, in fondo, chiediamo. E’ ancora un nostro diritto?
Andrea Ceriani