In Italia l’insegnamento va braccetto con la precarietà. Con i docenti di religione che sono i porta bandiera di questo status professionale: l’unico concorso è stato bandito nel 2004, al termine del quale furono decretati oltre 15 mila vincitori. A distanza di 15 anni, in 2.700 attendono ancora di essere assunti. E nel frattempo bussano alle porte del ruolo altri 15 mila precari, in larga parte laici. A rendere paradossale la situazione è che i posti vacanti ci sono. E altri 3 mila si libereranno con i prossimi pensionamenti, quota 100 compresa. Solo che di turn over ne se ne parla. Così la vicenda è finita nei tribunali.
Addirittura, ad essere “tirata per la giacca” è stata anche la Corte di giustizia europea.
Lo ha fatto il Tribunale di Napoli: con un’ordinanza del 13 febbraio, ha rimesso la materia all’attenzione della curia dell’Ue, richiamando il principio di non discriminazione previsto dall’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e il Testo Unico della scuola che all’articolo 309 prevede uno “status” giuridico degli insegnanti di religione “penalizzante”, se “posto a confronto con quello degli altri docenti” curricolari.
Ne abbiamo parlato con Orazio Ruscica, segretario nazionale Snadir, il sindacato che in Italia vanta il maggior numero di iscritti tra la categoria e promotore, con la Federazione Gilda-Unams, del ricorso al tribunale campano che ha sollevato il problema alla Corte europea.
Difendere gli insegnanti della scuola è un compito arduo, farlo con i docenti di religione è un’impresa. Orazio Ruscica è d’accordo?
In effetti diventa complicato. Perché molti non hanno ben chiaro che una volta salvaguardata l’idoneità diocesana che rappresenta l’unica norma concordataria, tutto il resto – le modalità di assunzione, la costituzione dell’organico, la formazione delle classi, la mobilità – sono di esclusiva competenza della Repubblica italiana.
Il primo e unico bando di concorso risale a 15 anni fa. Poi il vuoto. Perché?
I Governi che si sono avvicendati in questi anni hanno deliberatamente ignorato il problema del precariato dei docenti di religione. Soltanto nell’ottobre del 2013, con il Governo Letta, eravamo riusciti, attraverso un emendamento approvato al Senato anche con i voti del M5S, a far diventare la graduatoria del concorso del 2004 una graduatoria ad esaurimento. Ma un emendamento alla Camera dell’onorevole Marco Meloni, del PD, presentato assieme ai forzisti Elena Centemero, Sergio Pizzolante e Antonio Palmieri, impedì la graduatoria ad esaurimento per gli insegnanti di religione con una motivazione che ancora oggi non riusciamo a capire.
Cosa sostenevano nell’emendamento?
L’onorevole Palmieri sostenne che bisognava abolire le GaE degli insegnanti di religione per garantire “le cattedre per insegnanti di religione, là dove non ci sono”: fu detto, a chiare lettere, nel Resoconto della VII Commissione del 17 ottobre 2013. Ma è stata tutta l’attenzione delle precedenti forze di governo alle problematiche di questa categoria ad essere sempre risultata inadeguata. Allo stesso tempo è mancato un confronto con le organizzazioni sindacali, nonostante lo Snadir abbia in questi anni indicato le soluzioni percorribili.
L’assenza di immissioni in ruolo, cosa ha determinato?
Ha cronicizzato il problema del precariato di questa categoria. Quando un insegnante di posto comune o classe di concorso entra in ruolo a sessant’anni, magari per scorrimento delle GaE, la notizia è riportata nelle prime pagine dei giornali. Eppure sono migliaia i docenti di religione che negli ultimi dieci anni sono rimasti precari e sono andati in pensione dopo l’intera carriera trascorsa impegnati per cattedre libere e vacanti, ma senza la tutela lavorativa che può derivare solo da un contratto a tempo indeterminato. Di ciò nessuno si indigna.
Ma cosa dicono le norme sul reclutamento?
Il principio sancito dalla Direttiva 1999/70, secondo cui i rapporti di lavoro a tempo determinato su posti vacanti e disponibili che si protraggono oltre i trentasei mesi di servizio vanno riqualificati in rapporti a tempo indeterminato, andrebbe applicato anche ai docenti di religione. Perché non si vede il motivo per cui soltanto quelli di religione debbano rimanere precari a vita.
Anche il Papa ha parlato dei precari…
Condividiamo pienamente la denuncia di Papa Francesco al precariato: “Il lavoro precario è una ferita aperta per molti lavoratori. La precarietà è immorale. La dignità e le tutele sono mortificate quando il lavoratore è considerato una riga di costo del bilancio, quando il grido degli scartati resta ignorato”.
Con il nuovo Governo M5S-Lega è cambiato qualcosa?
Diversi parlamentari, sia della Lega sia del Movimento 5 stelle, si sono detti disponibili a trovare una soluzione: in particolare potrei citare il senatore Mario Pittoni, della Lega, e l’onorevole Flora Frate, del M5S. Le possibili soluzioni da loro prospettate, in gran parte condivise anche da tutte le sigle sindacali, non hanno tuttavia fino ad oggi completato il necessario iter per trasformarsi in norme capaci di innovare lo status giuridico della categoria. Pesa il vincolo posto dalla legge n. 186/2003 che fissa l’organico dei docenti di religione di ruolo al 70% del numero complessivo delle cattedre costituite: lo Snadir ritiene che spostare questo dato percentuale fino alla soglia del 90% consentirebbe di immettere in ruolo la quasi totalità degli insegnanti di religione precari.
Quindi bisogna cambiare le leggi?
Chiaramente, gli interventi della politica devono essere efficaci e non “pannicelli caldi”, rimedi inadeguati alla grave situazione di precariato dei docenti di religione. Apprezziamo quanto dichiarato dall’onorevole Flora Frate, che di recente ha evidenziato come le soluzioni debbano essere adeguate e che “senza la stabilizzazione del precariato storico non potremo avere una scuola di qualità”.
Le strade da poter percorrere per una soluzione al precariato degli insegnanti di religione sono diverse: le forze politiche, se vorranno, sentite le associazioni sindacali, troveranno le soluzioni opportune.
L’emendamento Pittoni, il 10.0.03, al decreto Semplificazioni non è andato a buon fine: perché?
Le 682 pagine di emendamenti presentati al decreto semplificazioni non ci facevano ben sperare. Infatti, avevamo prospettato che l’emendamento potesse cadere sotto la scure della mannaia necessaria ad un generale sfoltimento, nell’ottica di un’urgente approvazione della legge di conversione.
In ogni caso, l’emendamento Pittoni era positivo per diversi aspetti, ma non risolveva in modo efficace il problema del precariato dei docenti che insegnano religione. La sua attuazione avrebbe difatti ridotto i posti nelle Regioni del Centro-Sud a poche decine; inoltre, la graduatoria del concorso straordinario non sarebbe stata ad esaurimento, così come è stato fatto per l’analogo concorso per la scuola secondaria e per i diplomati magistrale.
E ora in cosa sperate?
Auspichiamo che il Governo dia una risposta concreta al precariato dei docenti che insegnano religione, intervenendo con un efficace testo normativo che risolva in maniera strutturale, completo e definitivo la condizione deplorevole di precariato cui sono costretti ogni anno oltre 15 mila docenti. Serve un provvedimento legislativo urgente che predisponga – così come è stato fatto per tutti i docenti precari – una procedura semplificata per i docenti di religione con 36 mesi di servizio, i quali sono già abilitati in forza del parere del Consiglio di Stato del 1958, la quale stabilisca che la graduatoria diventi ad esaurimento e che l’organico dei posti di ruolo sia ridefinito nell’arco di un triennio dal 70% al 90%. Insomma, chiediamo che quanto è stato già fatto a Trento e Bolzano, avvenga anche nel resto della Repubblica italiana.
Poi c’è sempre l’Europa: qualche giorno fa il Tribunale di Napoli, a seguito di un ricorso in cui si è costituita la Federazione Gilda – Unams /Snadir, ha rimesso la materia all’attenzione della curia europea, perché dica se è penalizzante o meno fare il docente di religione. Potrebbe essere la svolta?
Certamente è un momento importante; finalmente dopo tantissimi ricorsi in cui i giudici hanno soltanto riconosciuto il risarcimento del danno, adesso la questione è stata rimessa dal Tribunale partenopeo alla Corte di giustizia europea. Il giudice ha evidenziato come gli insegnanti di religione siano stati gli unici esclusi dalle procedure straordinarie concorsuali (scorrimento delle GaE e selezioni blande), previste invece per tutte le altre categorie di docenti.
Quindi?
Visto che il problema esiste, adesso più che mai, è doveroso che le forze politiche nazionali si impegnino a trovare in tempi brevi una soluzione che superi definitivamente il precariato degli insegnanti di religione secondo le legittime aspettative degli stessi.
A questo aggiungo un’importante precisazione: dal momento che qualche associazione sindacale ha tentato di appropriarsi del nostro ricorso, è bene precisare che soltanto la FGU/Snadir potrà stare legittimamente in giudizio alla Corte di giustizia europea. Così, tanto per essere chiari…
Nell’ordinanza del giudice di Napoli, si cita la sentenza della Corte di Costituzionale n. 248/2018, che ha ribadito il divieto assoluto di conversione dei contratti a termine, in caso del superamento dei 36 mesi di precariato: perché in Italia non si applica questa norma?
In realtà si applica la norma del divieto della conversione. La decisione della Consulta, appare l’epilogo infelice del tentativo di affermare il controllo accentrato di costituzionalità, delegittimando da un lato il ruolo della Corte di giustizia e l’efficacia del diritto dell’Unione europea all’interno dell’ordinamento nazionale, dall’altro demolendo il ruolo e l’indipendenza della giurisdizione comune europea, imbrigliata in una rete di falsi riferimenti costituzionali da tutelare con un inaccettabile approccio “sovranista”, che nega il dialogo e la primazia della normativa sovranazionale anche quando essa appaia corrispondente alle tradizioni costituzionali comuni che la nostra Carta fondamentale incarna benissimo.
Ed è per queste ragioni che l’ordinanza di rimessione del tribunale di Napoli, che pur avrebbe potuto sollevare la questione di legittimità costituzionale alla Consulta, ha preferito riproporre la pregiudiziale comunitaria alla Corte di giustizia.
In conclusione, quante speranze hanno i 15 mila docenti di religione precari di essere immessi in ruolo nel 2019?
I docenti di religione italiani hanno la “certezza” che lo Snadir/FGU, il loro sindacato di categoria, sarà sempre con loro per ottenere condizioni lavorative capaci di dare dignità alla loro professione.
Ma hanno anche la “speranza” che il mondo della politica riesca ad essere attento alle giuste istanze di tutti i cittadini e quindi anche alle loro. In un mondo che cambia velocemente, la cultura religiosa, (e chi la impartisce in ambito scolastico) deve trovare il giusto spazio per un progetto di società aperta al dialogo.
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