Quando si parla di emarginati nel mondo della scuola, il nostro pensiero va immediatamente a tutti i docenti precari che ogni anno vivono nella più totale incertezza circa il proprio futuro lavorativo e professionale. E indubbiamente è così. Tuttavia, a onor del vero, si può affermare che l’intera categoria degli insegnanti, non solo i docenti a tempo determinato, si trova in una situazione di “emarginazione”. Dopo diversi articoli indirizzati al precariato scolastico, MSA rivolge la sua attenzione anche ai docenti di ruolo.
Docenti di ruolo ed emarginazione. Il binomio suona assurdo se si considerano i numerosi commenti negativi che circolano nei confronti dei docenti e che li dipingono come una classe “privilegiata”, che lavora solo 18/24 ore settimanali, senza sforzarsi più di tanto, e che gode di 2/3 mesi di vacanza”. Ma le cose stanno realmente così?
Innanzi tutto, è utile ricordare che il lavoro del docente va ben oltre le ore di “cattedra” in quanto prevede il tempo dedicato alla programmazione, alla preparazione delle lezioni, alle correzioni, alle riunioni con il corpo docente, ai colloqui con le famiglie, oltre a continui corsi di aggiornamento. Inoltre, confrontando l’orario di lavoro dei docenti italiani con quello dei colleghi europei, ci si rende conto che gli insegnanti italiani non lavorano meno rispetto a quelli del resto d’Europa. In effetti, analizzando i dati ufficiali pubblicati da Eurydice, rielaborati da Uil Scuola, pur considerando solo le ore di cattedra, esse sono in linea, se non addirittura superiori a quelle della media europea: 22 ore contro 19,6 ore nella scuola primaria; 18 contro 18,1 nella scuola secondaria di primo grado e 18 contro 16,3 nella scuola secondaria di secondo grado.
Nonostante ciò, tra i docenti italiani e i colleghi europei esiste un elemento di forte discriminazione: la remunerazione. Come risulta chiaro dai dati pubblicati da OCSE nel 2017, in Italia lo stipendio degli insegnanti è molto lontano rispetto a quello del resto d’Europa. E neppure il nuovo contratto, entrato in vigore qualche mese fa, è stato in grado di colmare il divario che esiste tra i docenti italiani e quelli del resto d’Europa.
E che dire dell’ambiente di lavoro in cui operano i docenti? Da un lato, negli ultimi mesi le notizie di violenza contro gli insegnanti hanno riempito le pagine dei giornali. “Siamo dei pubblici ufficiali, che svolgono il proprio servizio a favore dello Stato, ma non veniamo in nessun modo tutelati dal nostro datore di lavoro”, commenta il prof. Luciano Scandura, responsabile dell’Associazione MSA comparto scuola, anch’egli docente di un Istituto superiore. Dall’altro lato, non meno importanti le condizioni in cui i docenti sono costretti ad insegnare, con classi sempre più numerose ed edifici poco attrezzati.
Infine, è sotto l’occhio di tutti la disparità tra un istituto e un altro, rispetto ai servizi offerti e alle attrezzature tecnologiche a disposizione, così che la scuola, che dovrebbe essere uno strumento di uguaglianza sociale, si ritrova ad accentuare tali differenze. Da una parte, le scuole che possono usufruire di entrate extra rispetto a quelle statali possono garantire all’utenza un servizio di qualità. Dall’altra parte, molti istituti che dipendono finanziariamente solo dallo Stato, hanno a disposizione solo la vecchia lavagna con il gesso. Ma non rientra proprio nei compiti dello Stato anche quello di eliminare tali disparità? La risposta appare scontata. “Lo Stato può e deve fare di più”, conclude il prof. Scandura, “per migliorare la qualità dell’istruzione, restituendo dignità agli insegnanti sia dal punto di vista retributivo sia offrendo loro un ambiente lavorativo consono all’importante funzione che svolgono all’interno della società della conoscenza”.
Associazione MSA
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