Sono una docente di sostegno che con senso del dovere e abnegazione verso un lavoro che ama, così come tantissimi altri colleghi, da circa 4 mesi svolge il proprio lavoro in una condizione paradossale.
Sveglia ogni mattino alle 5, viaggio giornaliero di circa 160 km attraverso due province in zona rossa… e fin qui penserete, nulla di eroico per un lavoratore… se non che la prestazione di sostegno, inclusione ed integrazione tipica delle proprie mansioni, si svolge in un istituto completamente vuoto a riscaldamenti spenti, dove è presente, per scelta non sua, solo una ragazza certificata, autonoma, brava, con tutti gli strumenti a casa per un collegamento da remoto ma che invece si collega da scuola (con un tablet ed una connessione labile), al resto della classe che è in Dad a casa!!! La mia prestazione lavorativa? Guardare l’alunna che in totale autonomia effettua il collegamento.
E allora la mente spazia tra domande, dubbi, perplessità…mentre legge e rilegge la normativa per cercare di cogliere quell’intento forse ancora non compreso, alla base di questa scelta istituzionale.
E una domanda dall’intonazione quasi banale purtroppo ritorna con prepotenza..
Che integrazione e inclusione sarebbe questa? In un Istituto vuoto senza la presenza di nessun pari, in un silenzio raccapricciante, da brividi, per quanto incomprensibile per una scuola, che tipo di inclusione ed integrazione si potrebbe mai realizzare? Qual è il mio compito?? La domanda ahimè non trova risposta.
Ma la mente è uno strumento meraviglioso e la resilienza impone di cercare altre motivazioni per dare un senso a tutto ciò. Quindi si fa spazio un’idea…Aiutare le famiglie dei ragazzi disabili, etc etc
Orbene motivo nobile e degno di plauso, ma questa affermazione si presta a molteplici contestazioni. Innanzitutto bisogna contestualizzare. Siamo in piena pandemia globale, con un rischio contagio elevatissimo. I ragazzi disabili non rientrano nella categoria dei più fragili che andrebbero tutelati più degli altri da un eventuale contagio, restando a casa?
E poi… La scuola è un luogo di cultura, integrazione, crescita, non nasce come ente socio assistenziale, con tutto l’enorme rispetto e l’ammirazione per queste strutture e per il loro meraviglioso lavoro. Noi docenti di sostegno, in questo momento, siamo stati chiamati a rivestire un ruolo a cui non siamo reputati ma soprattutto non siamo preparati. La scuola non ha le infrastrutture e le competenze per espletare questo tipo di servizio, di natura socio assistenziale. Dovrebbe essere lo Stato a fornire, per altri canali, l’assistenza alle famiglie. In questo modo noi siamo chiamati, con tutti i rischi e le conseguenze delle nostre azioni da “impreparati”, a tamponare le falle di uno Stato sociale che non funziona. E’ questa la verità!!
Posso pormi tutte le domande che voglio.
Ma di fronte alla disabilità, ho capito che non c’è discorso che tenga…. si è sempre perdenti in partenza, attaccati qualora si esprima un pensiero diverso…. additati come cattivi, irrispettosi, insensibili…. egoisti, sia dal mondo scuola nelle più alte cariche, sia dai sindacati che dalle famiglie che il più delle volte offuscate dal loro dramma personale (e aggiungerei arrabbiate con il destino), dimenticano che un docente resta comunque, al di là della professionalità, resta un essere umano che ha un proprio vissuto e tante volte un pari dramma familiare di cui non racconta.
Ma parafrasando un vecchio spot pubblicitario: piace vincere facile…
Quindi siamo tutti onesti, e prendiamone tristemente atto, la normativa è stata voluta in questo modo solo per raccogliere il maggior numero di consensi possibili per tutti.
E come in ogni battaglia che si rispetti ci saranno dei caduti, pazienza è il prezzo da pagare per la gloria, perché l’immagine del grande paese inclusivo, non sia scalfita.
Una normativa, a detta dei più, altamente inclusiva che si presta nel singolare inciso “si lascia all’autonomia delle scuole la scelta migliore per gli alunni”, a qualsiasi abuso e manipolazione da parte di chiunque…scuola, famiglia, che a questo punto, legittimamente, la adatta alle proprie necessità in assenza totale della reale valutazione di quale sia la scelta più giusta per l’alunno.
E il docente di sostegno in tutto questo dove si colloca?? Qui arriva il paradosso. L’insegnante di sostegno che per tutta una serie di motivi e condizioni oggettive, è forse quello che più di altri potrebbe indirizzare verso le scelte più performanti per il ragazzo/a; il docente di sostegno che (perdonate la presunzione assolutamente avulsa dal mio carattere), dovrebbe essere tra gli attori principali di questo tavolo di concertazione, invece, relegato al ruolo di comparsa, subisce come lo studente passivamente le decisioni che lo coinvolgono. Ci si immola per il dovere.
Questa pandemia ha insegnato, per lo meno a me, qualcosa di triste ma densamente vero. Lo stigma dell’insegnante di sostegno che diventa il nemico, il parassita, il nulla facente, pezzo passivo di una scacchiera in una partita che vede protagonisti/giocatori famiglie, scuola, csa, sindacati, miur…. dove i docenti vengono semplicemente spostati nella casellina giusta in base alla strategia di gioco, insieme ai ragazzi.
Ma siamo professionisti per cui, nonostante questa triste consapevolezza, con questo magone interiore e la paura, quasi paralizzante, per sé, per i propri cari, per tutti, a causa di questo maledetto virus, nonostante ciò, questa figura trasparentemente emblematica che è il docente di sostegno, continua imperterrita a svolgere nel migliore dei modi il proprio lavoro, cercando ed elaborando strategie adeguate che compensino scelte sbagliate fatte da altri, ma con tanta stanchezza.
E purtroppo dopo mesi, c’è il rischio ormai concreto che uno alla volta lentamente si cada o per contagio/covid contratto lungo il percorso verso scuola o per contagio a Scuola, perché non si è avuto il coraggio di mantenere il rigoroso protocollo di sicurezza anti covid per non turbare la serenità dell’alunno; in quanto, proprio i ragazzi diversamente abili non comprendono e non accettano il distanziamento, il non toccare, abbracciare, prendere per mano, indossare la mascherina.
E se il contagio è fortunatamente evitato per se e per l’alunno, allora nella migliore delle ipotesi, si va lentamente in esaurimento nervoso e verso il Burnout, perché lo stress e la frustrazione oramai sono a livelli altissimi.
Ciò detto concludo chiedendo scusa ai ragazzi, si proprio ai ragazzi fragili perché non sono stata abbastanza forte da riuscire a contrastare un sistema troppo grande rispetto a me, non ho avuto la forza di combattere per strappare delle scelte che davvero tutelassero i loro diritti. Perdonatemi.
E cari rappresentanti del mondo della scuola e care famiglie, perdonateci anche voi, anzi tempo, se quando tornerà tutto alla normalità (speriamo il prima possibile), non troverete l’accoglienza, la collaborazione a tutto tondo, il sorriso e la passione di una volta in noi docenti. Non perché si tratti di una sciocca vendetta, ma semplicemente perché siamo ormai sopraffatti dall’avvilimento, siamo stanchi, psicologicamente usurati, combattuti tra il senso del dovere e la nostra dignità, ma soprattutto spenti irreversibilmente. Non abbiamo più entusiasmo.
Una docente di sostegno che “amava” il suo lavoro
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