Tra le conseguenze del maggiore utilizzo dello smart working c’è anche il ritorno del “Job Creep” o “Work Creep”, ovvero il cosiddetto lavoro “strisciante” o lavoro “tossico“. Il fenomeno, noto sin dagli anni Duemila, sembrava quasi essere scomparso nell’ultimo decennio. Salvo avere ripreso vigore dopo la pandemia. Anche nella scuola, dove le relazioni tra i dirigenti scolastici e il resto del personale non sempre sono facili.
La Tecnica della Scuola vuole indagare su questo fenomeno, interrogando i propri lettori sulle dinamiche diffuse presso i loro ambienti professionali.
Si tratta della disponibilità a fare sempre di più per soddisfare le aspettative del dirigente, una disponibilità che si traduce in comportamenti o prestazioni che vengono creduti necessari per il proprio successo professionale ma che in realtà superano di gran lunga i doveri contrattuali: l’ansia di prestazione spinge la persona a lavorare oltre l’orario di servizio, la sera e durante il week end. Ovviamente il lavoratore viene intenzionalmente sollecitato a cadere in questa “trappola”, facendo leva sul suo desiderio di soddisfare le aspettative del superiore, portandolo, in sostanza, a modificare i parametri del suo accordo contrattuale senza aver contabilizzato questi cambiamenti.
Per avere un’idea della sua diffusione nel settore scolastico, basti pensare alle tante occasioni che vedono i docenti riunirsi per portare a termine dei lavori connessi alla professione al di fuori del proprio orario di servizio, ai cosiddetti “preconsigli”, ai lavori preparatori alle riunioni di dipartimento, di commissione, di progettazione, di valutazione ecc. Incontri tutti mossi da esigenze legittime, ovviamente, ma che sono già previsti e contabilizzati nelle 40 + 40 ore aggiuntive a quelle delle lezioni, destinate allo svolgimento di quelle “attività funzionali all’insegnamento”, definite e regolate dal CCNL 2007 all’art. 29:
“1. L’attività funzionale all’insegnamento è costituita da ogni impegno inerente alla funzione docente previsto dai diversi ordinamenti scolastici. Essa comprende tutte le attività, anche a carattere collegiale, di programmazione, progettazione, ricerca, valutazione, documentazione, aggiornamento e formazione, compresa la preparazione dei lavori degli organi collegiali, la partecipazione alle riunioni e l’attuazione delle delibere adottate dai predetti organi”.
Le ore da dedicare alle attività di carattere collegiale sono infatti 40 ore per la partecipazione al collegio docenti e alle sue articolazioni e altre 40 per la partecipazione ai consigli di classe, sezione e intersezione, esclusi quelli destinati agli scrutini intermedi e finali. Inutile dire, però, che superate queste 40+40 ore, il docente avrebbe diritto ad essere retribuito oppure esonerato dalla partecipazione ad ulteriori attività funzionali.
Ma allora perché, per confrontarsi ad esempio in Consiglio su un caso problematico, invece di organizzare delle riunioni ufficiose non contabilizzate, i docenti non chiedono di indire un Consiglio straordinario oppure di destinare ai Consigli o ai Dipartimenti un tempo necessario ad una adeguata discussione delle problematiche degli alunni dove il piano delle attività non preveda un tempo sufficiente? È ormai evidente che la tendenza dei dirigenti è sempre più quella di contrarre la durata delle riunioni, ad esempio, limitando nei Consigli la discussione su una classe ad un massimo di 30 minuti. Bene, davanti a questa eventualità, è sotto gli occhi di tutti che la scelta del docente cada quasi sempre sul rimedio “a proprie spese”, propendendo per l’organizzazione di riunioni informali preliminari piuttosto che avanzare richieste di tempo aggiuntivo.
Va però sottolineato che questa eccessiva disponibilità del lavoratore nello svolgimento delle proprie mansioni lo porta ad assumere atteggiamenti che danneggiano non soltanto se stesso ma anche i colleghi. Il Job Creep è infatti contagioso poiché il timore che la minore disponibilità rispetto agli altri lavoratori possa essere considerata negativamente dal dirigente spinge all’uniformazione soprattutto i più giovani. Di contro, quelli che non si conformano, possono sentirsi più fragili o addirittura esposti a ritorsioni. E questo a maggior ragione in un momento in cui l’ARAN, l’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, nell’ambito delle trattative per il rinnovo del contratto dei lavoratori del settore scuola scaduto ormai da quattro anni- ha avuto l’ardire di avanzare la proposta (per fortuna bocciata dalla quasi totalità dei Sindacati…) di attribuire al dirigente scolastico il ruolo di autorità disciplinare nei confronti dei docenti, per le sanzioni più gravi, oggi materia degli Uffici Scolastici Regionali.
La pandemia ha indubbiamente avuto un ruolo determinante nella diffusione del fenomeno. Lo smart working, le app di messaggistica, la posta elettronica, le videochiamate e tutti gli altri strumenti tecnologici che hanno avuto il merito di agevolare la comunicazione, e quindi il lavoro non in presenza, hanno, purtroppo, anche reso i confini tra la vita lavorativa e la vita privata sempre più labili.
Alto livello di stress e burn out sono il risultato di questi comportamenti. Lavorare costantemente oltre l’orario regolare si traduce in una riduzione eccessiva del tempo libero necessario a riprendere energie attraverso la distrazione e il sonno.
Tempestati dai messaggi, senza soluzione di continuità, sui più disparati gruppi WhatsApp a cui partecipano colleghi, alunni e genitori, e a volte addirittura i DS, i docenti mostrano sempre più i segni di un utilizzo inappropriato della strumentazione tecnologica sul lavoro.
Il diritto alla disconnessione, cioè il diritto per il lavoratore di non essere costantemente reperibile, è tra l’altro previsto espressamente nel CCNL 2016-2018, nonché dalla Legge 81/2017, che regolamenta lo smart working. Ma per modificare queste insane abitudini è innanzitutto fondamentale prendere coscienza che proteggere le ore di “non lavoro” è indispensabile per tutelare il proprio benessere di lavoratori. Non a caso l’Ordine Mondiale della Sanità ha riconosciuto nel 2019 il burn out, a cui i docenti sono particolarmente esposti, come sindrome da esaurimento emotivo, uno stato di stress cronico lavoro-correlato.
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