La questione stipendiale del personale scolastico continua a tenere banco. Dopo il probabile scampato pericolo sugli scatti, se ne è tornato a parlare negli ultimi giorni. L’occasione sono state le parole del premier, Matteo Renzi, sugli stipendi mensili da 1.500 euro, “con cui si fa fatica a vivere”. Così a quelli della scuola, uno dei comparti a cui il nuovo governo ha detto di tenere in modo particolare, lo stesso Renzi ha detto di voler applicare, già da maggio, una tassazione ridotta. Facendo innalzare la busta paga di 80-85 euro netti.
I sindacati hanno preso la ‘palla al balzo’: hanno ricordato, ad esempio, che quelli italiani sono gli insegnanti sono gli insegnanti tra i meno pagati d’Europa. Con un gap a fine carriera che sfiora i 10mila euro l’anno di media. Ma non solo.
I numeri, del resto, parlano chiaro: “in un comparto che impiega 935.000 addetti più della metà (500.000 circa) riceve retribuzioni con cui “si fa fatica vivere” – ha scritto la Cisl Scuola – e il quadro avrebbe tinte ancora più fosche se prendessimo in considerazione gli stipendi delle scuole paritarie e della formazione professionale”. Per il sindacato guidato da Francesco Scrima, quindi, “quella salariale è un’emergenza a cui dare immediata risposta, sapendo che passa anche da questo la credibilità degli impegni assunti (dal governo Renzi n.d.r.) rispetto alla centralità della scuola e alla dignità del lavoro che vi si svolge”. Il governo, insomma, è avvisato.
Anche la Cgil non fa sconti. Dicendo che non bastano i fondi per l’edilizia scolastica: l’istruzione pubblica va sostenuta a e rilanciata a 360 gradi. È il pensiero espresso domenica 16 marzo dal segretario generale della grande sindacato Confederale, Susanna Camusso.
“Dire che si fa uno stanziamento consistente, intervenire rispetto all’edilizia scolastica e rimettere in sicurezza le scuole è un’esigenza che abbiamo manifestato in tantissime occasioni, è una scelta assolutamente importante – ha detto Camusso – , però non può essere l’unica risorsa che si spende per la scuola in questa stagione”.
“A fianco – ha continuato il segretario generale della Cgil – noi stiamo ancora aspettando che si rimettano le risorse che le tante leggi precedenti hanno tolto”. E il pensiero va agli stipendi degli insegnanti. Che non possono essere “rimpinguati” solo defiscalizzando quelli inferiori ai 1.500 euro. Bisogna mettere mano al contratto, il prima possibile. “Giustamente – ha concluso Camusso – gli insegnanti rivendicano i loro contratti e le loro retribuzioni, ma se li paghi con le risorse dei fondi scolastici vuol dire che nella scuola non fai progetti formativi e non vai oltre”.
Forti pressioni arrivano anche dall’Anief: per il sindacato autonomo, il personale della scuola ha “bisogno di sbloccare il contratto di lavoro e di risorse vere: l’aumento di 80 euro per coloro che ne guadagnano meno di 1.500 al mese, annunciato dal premier Renzi, rappresenta poco più di un ‘obolo’, visto che tra i paesi moderni europei i nostri docenti continuano ad avere lo stipendio più basso dopo la Grecia. Perché mentre si fanno passare questi aumenti come motivo di attenzione per il settore, nel frattempo l’Istat di dice che l’ultimo indice generale delle retribuzioni contrattuali orarie disponibile registra incrementi tendenziali sopra la media nel settore privato (+1,9%) e, in particolare nei settori dell’agricoltura (+3,4%), dell’industria (+2,1%) e dei servizi privati (+1,6%). Mentre in tutti i comparti della pubblica amministrazione (dirigenti e non dirigenti, contrattualizzati e non), si continuano a registrare variazioni nulle”.
“Le modifiche attuate sui contratti del personale statale, in particolare quello scolastico, nell’ultimo ventennio – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief – hanno determinato un paradosso: per mere ragioni di finanza pubblica, si sono ereditate le condizioni di lavoro del settore privato, con le nuove norme privatistiche che hanno cambiato l’organizzazione e il funzionamento della macchina amministrativa statale e dei dipendenti, anche in deroga a precise scelte negoziali e diritti non comprimibili. Ma nello stesso periodo gli stipendi sono stati sempre più depauperati. Sino ad essere superati dall’inflazione, come è accaduto nel 2013”.
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