La presidente dell’Associazione Nazionale Presidi Lazio Cristina Costarelli esprime alcune riflessioni sulla dispersione scolastica, affrontando in particolar modo l’aspetto degli anni della secondaria di secondo grado, quando un numero ancora elevato di ragazzi abbandona gli studi:
“Lo scorso giugno, l’ormai ex-ministro Bianchi così dichiarava: “In questi giorni ho firmato la prima tranche di risorse del Piano contro la dispersione scolastica e per il superamento dei divari territoriali che andrà avanti fino al 2026. Abbiamo 1,5 miliardi a disposizione. I primi 500 milioni serviranno a finanziare progetti in 3.198 scuole con studentesse e studenti nella fascia 12-18 anni. Sono risorse che assegniamo direttamente alle istituzioni scolastiche, sulla base di precisi indicatori relativi alla dispersione e al contesto socioeconomico”
Ben vengano tali fondi (anche se è necessario riflettere sugli indicatori ministeriali – riferiti alla dispersione implicita dei dati Invalsi – che hanno lasciato fuori scuole in territori estremamente critici), ma tenendo ben presente che di tratta di un tema che non può essere semplificato pensando di risolverlo con qualche progetto o con i fondi del Pnrr. I fattori in gioco sono numerosi e complessi, qui giusto qualche spunto:
– è necessario lavorare tanto e meglio sull’orientamento verso le superiori, molto prima della terza media. È evidente che il liceo non possa essere la scuola per tutti e che invece le potenzialità di tecnici e professionali siano ancora molto poco esplorate: i dati delle iscrizioni degli ultimi anni raccontano ancora di un afflusso esagerato ai licei con la necessità, al termine del primo anno, di riorientare numerosi studenti. Bisogna fare il possibile per superare il pregiudizio per cui gli istituti tecnici e professionali siano per chi non ha voglia di studiare e per superare l’atteggiamento per cui la scelta del liceo rappresenta talvolta quasi uno status symbol;
– occorre rendere flessibile il sistema scolastico permettendo realmente di cambiare indirizzo di studi durante tutto il percorso delle superiori: adesso, se uno studente arriva stentando al terzo anno, non può realisticamente più collocarsi altrove. Il nostro sistema prevede infatti, per il passaggio da un indirizzo all’altro, il superamento di esami integrativi sulle discipline non svolte che possono essere anche in numero di 4/5 per tutti gli anni di corso precedenti: se un ragazzo ha difficoltà, gli chiediamo di caricarsi nei mesi estivi di una tale mole di lavoro? E quindi, se un ragazzo al terzo anno ha capito di aver sbagliato strada, è dispersione assicurata, a meno che non riesca a confluire nel sistema di formazione regionale. Questo meccanismo va assolutamente ripensato con passaggi più semplici, magari con recuperi in itinere, per nuclei fondanti e per competenze: ma certo, così non va;
– dovremo avere insegnanti formati alla docenza in base ai diversi indirizzi di studio: non si può insegnare Dante in un professionale come in un liceo. Ma senza giudizi di valore: nei professionali gli obiettivi prioritari sono altri. Purtroppo, agli esami di stato, viene chiesto invece a tutti di cimentarsi con la stessa prima prova scritta.
– le scuole devono essere aperte il pomeriggio, devono essere punto di riferimento per gli studenti. Per esserlo occorre capire quali siano le proposte adeguate a ciascun tipo di contesto: se si ripropone lo schema scolastico tradizionale non verrà nessuno. Le scuole devono diventare un presidio nel territorio, un luogo vivo in cui il pomeriggio si studia, si fa sport, arte, un luogo in cui i giovani possano vivere anche il tempo libero. Certamente non sono i docenti a dover farsi carico di questo: occorrono esperti e associazioni qualificate che entrino nelle scuole per il tempo della “non-scuola”.
E tutto questo senza dimenticare che la scuola da sola non va da nessuna parte se il problema non si affronta dal punto di vista sociale e dei servizi di supporto alle fasce più deboli delle nostre comunità”.
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