L’alto numero di emendamenti al Decreto Scuola n. 22 sta rallentando l’iter di approvazione al Senato: le quasi 400 richieste di modifica del D.L., anche dei partiti di maggioranza, non si sono rivelate solo un numero superiore alle aspettative, ma anche ostico da gestire per la loro complessità. Tanto che non sono ancora giunti i pareri di due delle tre commissioni: dovevano arrivare entro giovedì 7 aprile ed invece sia la commissione Bilancio sia quella degli Affari Costituzionali stanno prendendo tempo.
La prima si è soffermata più tempo del dovuto soprattutto sui costi dei diversi emendamenti chiesti per assumere più precari, anche tramite concorso straordinario, 40 mila anziché 24 mila ne hanno chiesti ad esempio il Pd e LeU, ma soprattutto per verificare la liceità dell’attivazione di una procedura esclusivamente per soli titoli e servizi: una modalità di reclutamento che non costerebbe nulla, a sentire il senatore leghista Mario Pittoni.
Lo stesso Pittoni, che è anche presidente della VII commissione del Senato, specifica che una spesa di “non più di 700 milioni di euro, poi comunque recuperabili in gran parte attraverso minori contratti da far sottoscrivere ai docenti precari, sarebbero invece necessari per convertire 60.000 posti dall’organico di fatto in quello di diritto, proposta presente in un altro nostro emendamento al decreto Scuola”.
Il problema, però, non è solo legato ai costi delle operazioni. Più di qualche dubbio sarebbe stato mosso anche dalla commissione degli Affari Costituzionali, che sta mettendo sotto la lente la possibilità di assumere degli insegnanti senza che abbiano superato non solo un concorso pubblico, ma addirittura l’esame di abilitazione all’insegnamento (quella che permette oggi di ottenere il ruolo da GaE su metà dei posti disponibili): secondo i promotori di un emendamento al decreto Scuola (presentato dai senatori Cangini e Moles, di Forza Italia), l’abilitazione verrebbe infatti conseguita nel corso dell’anno di prova.
La richiesta, in sintesi, è quella di allestire un concorso che, in virtù dell’emergenza Coronavirus e del maxi numero di posti liberi settembre, dovrebbe portare in ruolo solo sulla base di titoli e servizi svolti. Quindi anche dalla terza fascia d’istituto.
In effetti, nel D.P.R. 387 del 9 maggio 1994 sarebbe pure prevista l’immissione nei ruoli dello Stato attraverso la sola presentazione dei titoli: una modalità che però nella scuola è stata sempre e solo adottata per il personale Ata, con la graduatoria cosiddetta dei 24 mesi, e anche di recente con l’assorbimento di 11 mila ex Lavoratori socialmente utili come collaboratori scolastici.
Per l’assunzione a tempo indeterminato dei docenti, invece, almeno negli ultimi 26 anni si è sempre provveduto a svolgere dei concorsi con prove.
Si è trattato anche di concorsi riservati, quindi con verifiche decisamente semplificate, come quella prevista dallo stesso decreto 22 per assumere 24 mila precari con almeno re annualità (si svolgerà solo una prova computer based sotto forma di alcune decine di test a risposta multipla). Ma pur sempre previa verifica, con tanto di mancate ammissioni nella graduatoria degli idonei.
E non bisogna dimenticare che lo stesso decreto legislativo 165 del 2001 ha alzato ulteriormente l’asticella dei titoli d’accesso e delle verifiche da accertare sulle competenze acquisiti.
Quindi, ecco da dove hanno origine i dubbi dei senatori: anche dal fatto che un emendamento sull’assunzione dei precari con un carnet di soli titoli, andrebbe a creare i presupposti per la fatidica “prima volta”. E come tutte le prime volte, si sta arrivando all’appuntamento con una certa preoccupazione.
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