Gentilissimo Dottor Ficara,
Le scrivo a proposito di un articolo apparso sul Suo giornale qualche tempo fa sulle biblioteche scolastiche.
Mi chiamo Roberta Truppa, sono una docente inidonea all’insegnamento e adibita ad altre mansioni (nel mio caso di natura biblioteconomica, avendo personalmente optato per iscritto per questa possibilità). Ho due lauree (una conseguita da autodidatta), un master, due specializzazioni (in biblioteconomia e in archivistica, entrambe acquisite presso la Scuola Vaticana), conosco due lingue, patente europea, studi pregressi di Composizione al Conservatorio.
Dal momento in cui mi sono volontariamente sottoposta a visita medico-legale poiché mi sentivo inadeguata all’insegnamento (pur avendo affrontato e superato 3 concorsi), ho pensato bene di studiare biblioteconomia seriamente e di rendere la mia presenza all’interno della scuola sensata e dignitosa; attualmente, essendomi appassionata a questo tipo di studi, ho intenzione di frequentare ulteriori corsi universitari e, previa selezione, la Scuola dell’Archivio di Stato di Napoli.
In tal modo, ho contribuito a sfatare il tradizionale mito del docente inidoneo nullafacente, incapace, dalla mentalità assistenzialista. In circa 5 anni sono riuscita a catalogare sul Servizio Biblioteconomico Nazionale (SBN), circa 4 migliaia di risorse appartenenti a tre scuole.
Aggiungo per inciso la difficoltà nel reperire una sede scolastica disposta ad accogliermi, nonostante l’ingente presenza nelle scuole napoletane di patrimonio librario, anche antico e di pregio: il mio lavoro sarebbe di indubbia utilità culturale e soprattutto non comporterebbe alcun costo aggiuntivo (essendo comunque pagata dal MIUR qualsiasi cosa faccia in qualunque sede), e renderebbe superfluo il reperimento presso vari enti di fondi destinati ad attività di elevata competenza e specializzazione, che, a loro volta, richiederebbero il reclutamento di personale esterno alla scuola.
La scarsa considerazione verso la figura del bibliotecario scolastico ha fatto sì che focalizzassi la mia attenzione esclusivamente verso l’attività di catalogazione del posseduto, dal momento in cui la funzione di reference, ossia di supporto a discenti e docenti alla ricerca suscita diffidenza e indifferenza e ciò mi ha indotto anche a cambiare più volte sede lavorativa appena terminato il lavoro.
Per motivi di sintesi, non mi soffermo sulle amarezze vissute fino allo scorso anno né sul rutilante silenzio dei sindacati da me consultati.
Previo incontro preliminare, in occasione del quale mi sono esplicitamente proposta come bibliotecaria, elencando il materiale necessario di cui avrei avuto bisogno, e dopo aver espletato le relative incombenze burocratiche, sono stata accolta lo scorso novembre presso un liceo facente parte delle “Scuole storiche napoletane”, contenenti patrimonio antico e raro. Con mia grande sorpresa, la mia presenza è stata accolta con una certa riluttanza e perplessità, motivati dall’eventuale “fastidio recato dalla mia presenza alla docente di turno intenta a svolgere le sue attività con le classi”. Per circa una settimana, sono stata tenuta, durante tutto il mio orario (trattandosi di 36 ore settimanali, circa 7 ore al giorno), nella sala docenti in attesa, priva persino della possibilità di accedere alla biblioteca e quando mi è stato concesso questo onore, ho potuto notare l’assenza del PC (giunto dopo due mesi circa), e soprattutto la mancanza del contratto da stipulare con la Biblioteca Nazionale di Napoli (propedeutico ad ottenere le credenziali valide per l’accesso al software di catalogazione).
Per quanto comprenda benissimo le difficoltà che dirigenti e staff paradirigenziale sono tenuti ad affrontare nella gestione di una scuola, soprattutto se questa ha più sedi, e per quanto mi renda conto dei tempi richiesti dalla burocrazia, non trovo giustificabile l’inoperosità alla quale da più di un anno sono stata costretta, nonostante numerosissime e reiterate istanze scritte esplicitanti il disagio vissuto in seguito a questa situazione (e nonostante la mia disponibilità a consegnare il suddetto modulo personalmente alla Nazionale di Napoli, evitando di importunare un membro del personale ATA).
Aggiungo che il patrimonio bibliografico presente in questa sede sembra essere di notevole importanza per quanto concerne l’arte e le arti minori e potrebbe risultare molto utile anche ai ricercatori ed utenti esterni (peculiarità evidenziata dalla scuola stessa, nonché dallo Statuto delle scuole storiche).
A ciò si unisce la prassi particolarmente umiliante, corroborata da uno specifico ordine di servizio, di obbligarmi a trascorrere alcune ore o addirittura intere giornate (in concomitanza dei periodi coincidenti con la sospensione delle attività didattiche, compreso il mese di luglio), in sedi diverse dalla biblioteca (aula multimediale, sala docenti o anche sedia nel corridoio), adducendo come motivazione la necessità che le chiavi della biblioteca siano esclusivamente possedute dal personale paradirigenziale, chiavi il cui duplicato mi è stato negato.
Avendo una sede definita e costante, sia pure nella condizione di demansionamento vissuta, mi consente la possibilità di studiare (cosa che faccio puntualmente da un anno e che contribuisce a preservare l’energia necessaria per sopravvivere in questo contesto), e di simulare una parvenza di funzione professionale; viceversa, deprivata di una sede fisica, la mia forzata inattività è esposta all’osservazione da parte di tutto il personale scolastico.
Non vi sarebbe la necessità di puntualizzare il totale vilipendio della mia dignità umana e professionale, che mi induce ad identificarmi con “l’ultima delle meretrici”: lungi quest’ultimo dal sembrare un paragone iperbolico dettato da retorica vittimistica ed autoconsolatoria, è piuttosto evidente che la meretrice vende il suo corpo per soldi, laddove io vendo la mia anima per lo stesso vile motivo.
Spesso, quando mi viene ribadita la considerazione di cui gode il docente inidoneo nell’immaginario collettivo scolastico, mi sento dire testualmente: “Lei è inidonea, per cui non è niente, non ha alcuna identità professionale e le sue competenze non hanno alcun valore, proprio perché è inidonea e anche perché i Dirigenti Scolastici hanno bisogno di segretari e addetti alle fotocopie! Dimentichi il suo proposito di catalogare il materiale bibliografico delle scuole!”. La cosa che più mi ferisce e mi sconcerta è la totale e completa solitudine in cui sto vivendo questa esperienza.
Per concludere, a prescindere che vorrei tanto conoscere fonti normative che giustifichino la portata etica di questa mentalità, supportata persino dalle stesse istituzioni (all’interno della scuola!), io mi chiedo: ma per quanto riguarda le biblioteche scolastiche siamo sicuri che le condizioni in cui versano siano unicamente attribuibili alla mancanza di fondi e di personale adeguato, così come recita la geremiade corale?
Roberta Truppa
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