A scuola capita che gli insegnanti consultino da un computer dell’istituto la posta elettronica, WhatsApp e i propri profili social media. Non di rado, può anche capitare, anche a causa dell’alto numero di alunni ed in generale di persone presenti, che gli insegnanti abbandonino la postazione dimenticando di chiudere il proprio account o lasciando visibile Facebook o le chat personali. Ma cosa deve fare il docente o lo studente che, spesso senza volerlo, accede al pc e si ritrova davanti agli occhi delle informazioni riservate di un’altra persona? Cosa rischia, se invece di chiuderle decide di leggerne i contenuti? Probabilmente nulla.
A pensarla così è anche la Procura di Milano, sollecitata per esprimersi sul caso di una maestra denunciata da due colleghe per accesso abusivo al sistema informatico per avere letto dei messaggi sul computer di scuola contenenti dei riferimenti diretti, paradossalmente, al figlio di otto anni. In quei messaggi, il bambino veniva valutato in modo scarso e considerato pieno di problemi. Ma soprattutto, si riportavano delle espressioni nei suoi confronti a dir poco offensive: “Pirla”, “sporco”, “bambino di m.” sarebbero alcuni degli appellativi usati dalle tre donne quando indicavano il figlio della loro collega.
Adesso, a distanza di alcuni mesi dalla denuncia, per la maestra che aveva scoperto quei messaggi con gli insulti a suo figlio – sedendosi per caso davanti al computer di un’aula – la Procura ha chiesto l’archiviazione.
Per i pm, infatti, la lettura dei messaggi è potuta “avvenire perchè ‘ WhatsApp web’, che consente l’uso di WhatsApp anche in assenza del telefono su cui è installato, era stato lasciato aperto su un pc che sicuramente era destinato ad uso scolastico”.
Trovando i messaggi aperti non c’è stata, in pratica, alcuna “corrispondenza chiusa” violata. Non vi sarebbero, dunque, i presupposti per procedere verso la donna, così come era stato chiesto dai legali, per accesso abusivo a sistema informatico da parte della madre del bambino.
Ma non solo. Proprio alla luce della posizione e delle motivazioni espresse dalla Procura milenese, un’altra denuncia nei confronti della madre dell’alunno, da parte della terza insegnante, arrivata successivamente in Procura a Milano (competente per i reati informatici del distretto che comprende anche Pavia) è destinata anch’essa ad un’istanza di archiviazione.
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