Secondo un’analisi di Andrea Ichino, economista delle risorse umane, sul capitolo di spesa riservato all’istruzione, non è che si investano poco risorse finanziarie, come invece ci viene fatto credere, ma, piuttosto, ciò che viene investito è speso male.
Questo è lo stesso pensiero politico già sostenuto, durante l’ultima campagna elettorale, dall’ex ministro dell’istruzione Maria Stella Gelmini e dal responsabile scuola del Pdl Elena Centemero.
Infatti secondo l’opinione dei due politici su citati, le criticità della scuola italiana non sono legate alla scarsità di risorse economiche disponibili, ma piuttosto esiste un evidente problema di mentalità.
Ad esempio è opinione diffusa che nel sistema scolastico italiano, manchi la capacità di innovare la didattica riuscendo ad affrontare in modo nuovo e moderno il rapporto tra scuola e mondo del lavoro.
I dati Ocse esaminati dal Rapporto del Forum "Idee per la crescita", ci dicono proprio questo, dice Ichino, i problemi del sistema scolastico italiano non devono essere messi in relazione alla carenza degli investimenti finanziari, ma invece deve essere fatta una seria riflessione sulla cattiva gestione dei fondi assegnati alle scuole.
In buona sostanza lo Stato italiano sperpera risorse finanziarie, disperdendo i soldi in mille rivoli senza raggiungere risultati adeguati. In altre parole la spesa pro capite per ogni studente italiano è sui livelli medi europei, ma evidentemente si spende male e non si ottengono risultati.
Quindi per Ichino, anche se si aumentasse la spesa per il settore della conoscenza, senza cambiare mentalità, non si otterrebbero comunque risultati positivi.
In cosa consisterebbe questo cambio di mentalità, tanto sbandierato a destra e a manca, e che a dire di molti è il freno che ci relega in fondo alle classifiche Ocse per le competenze alfabetiche e matematiche? Secondo Ichino bisogna invertire la rotta, uscire in fretta dallo stereotipo del docente di oggi, che è pagato poco perché lavora poco. Bisogna uscire dalla logica del docente, precario per una vita, che è progredito in carriera, raggiungendo un contratto a tempo indeterminato senza alcun merito, ma semplicemente per l’anzianità di servizio e attraverso le graduatorie ad esaurimento.
Bisogna attrarre verso l’insegnamento i laureati migliori e non quelli che ripiegano sulla professione docente, perché non hanno trovato altro lavoro.
Bisogna che il docente svolga una professione a tempo pieno e che quindi lavori di più, per più ore settimanali, in quanto i docenti italiani svolgono meno ore di servizio rispetto alla media Ocse.
Queste sono le idee, che non sono soltanto il punto di vista isolato di Andrea Ichino, ma che invece stanno assumendo una certa consistenza numerica anche all’interno parlamento. Questa idea del docente italiano che lavora meno ore della media Ocse, in tempi di legge di stabilità, fa temere, in un contesto di studio del sistema di progressione della carriera, un ritorno all’aumento delle ore di servizio settimanali dei docenti delle scuole secondarie.
Per quanto riguarda l’analisi fatta da Ichino, sarebbe forse il caso di approfondirla inserendola in un contesto più ampio della nostra società italiana, che vede la scuola come l’ultimo anello di una catena che marcia nei suoi punti cardine. Ci sembra che si stia cercando un pretesto per modificare, profondamente e per puri scopi economici, il sistema della progressione di carriera della categoria degli insegnanti, che invece rappresentano la parte forte della catena della nostra malandata società.
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