In tribunale, il ministero dell’istruzione deve difendere i docenti, alla pari di come già con i dirigenti scolastici. Questo non avviene, non è giusto, e i giudici sono costretti a condannare il Miur a pagare le spese legali in sede di sentenza. È questo il senso dell’intervento di Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti, a commento del provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Parma ha prosciolto da ogni accusa un’insegnante che si era limitata ad annotare sul registro fatti di rilievo disciplinare riguardati un’alunna diciassettenne.
La docente, per avere annotato l’accaduto, era stata sottoposta a un procedimento penale durato più di un anno. Ora, però, tutto finisce in una bolla di sapone. E sarà l’amministrazione a pagare le spese legali, dopo che non ha fatto nulla per difendere la docente ingiustamente accusata.
La decisione adottata dal giudice non è una concessione. Perché il diritto al risarcimento delle spese legali è stabilito dall’articolo 18 del decreto legge 67/1997, secondo cui il rimborso deve essere versato dopo la valutazione da parte dell’Avvocatura dello Stato della congruità della somma richiesta.
Per i docenti italiani, l’essere portati in tribunale, soprattutto dalle famiglie dei loro alunni a seguito di supposte carenze professionali, non è un fatto proprio residuale.
“L’insegnante che tenta di fare il proprio dovere viene spesso considerato un ‘disturbatore’ – commenta di Meglio -: se redarguisce o valuta negativamente, rischia richiami e punizioni, denunce in tribunale”.
“Quando un docente è sottoposto a un procedimento penale, è giusto che l’Avvocatura dello Stato se ne faccia carico, così come accade per i dirigenti scolastici, e che in caso di assoluzione con sentenza definitiva ottenga dall’Amministrazione scolastica il rimborso delle spese legali sostenute per provvedere alla propria difesa. Finalmente – conclude il sindacalista autonomo – arriva un barlume di luce per i docenti”.
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