Anche il trattamento dei docenti di religione non di ruolo, al pari degli altri precari, sconfina nell’abuso dei contratti a termine: l’idoneità diocesana e la conseguente revoca, infatti, anche se attuati nel rispetto del Concordato, non costituiscono una ragione oggettiva per perpetrare nel tempo determinato anche per decenni. E nemmeno giustificano il ricorso al 30% “fisso” di supplenti (gestiti in modo diretto dalla Cei) nella disciplina. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia europea, che con una importante sentenza del 13 gennaio sulla causa 282/19 rimessa dal Tribunale di Napoli ha confermato i dubbi dello stesso Tribunale campano, il quale aveva sollevato il problema avendo riscontrato la poca compatibilità delle continue assunzioni e licenziamenti di diverse migliaia di precari di Religione con i contenuti dell’articolo 267 del Trattato dell’Unione.
La violazione della direttiva Ue
Alla pari dei supplenti su disciplina comune, la Corte di Giustizia Ue, in effetti, ha ritenuto che l’Italia stia da diversi anni praticando una violazione della clausola 5 della direttiva comunitaria 1999/70: una prassi che non è giustificata dall’idoneità diocesana rilasciata dall’autorità ecclesiastica.
Se da una parte per esigenze di flessibilità si può ricorrere a contratti a termine, la Corte Ue ha rilevato che non è possibile “ammettere che contratti di lavoro a tempo determinato possano essere rinnovati per la realizzazione, in modo permanente e duraturo, di compiti che rientrano nella normale attività del settore dell’insegnamento”.
Cosa accadrà ora?
A questo punto, spetta al giudice nazionale comprendere quali possono essere i rimedi da adottare. A meno che non intervenga il legislatore.
Alla “partita” sono interessati almeno 15mila docenti precari di Religione cattolica, il cui unico e ultimo concorso è addirittura del 2003 con alcune centinaia di vincitori ancora da assumere: nel decreto Milleproroghe, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 30 dicembre scorso, è stato stabilito che il prossimo concorso dovrà essere bandito dal Ministero entro il prossimo 31 dicembre.
Una delle possibilità, proprio alla luce della sentenza della Corte di Giustizia europea, è che quel concorso possa contenere una fetta maggiore di docenti di religione precari “storici”: nell’ultima bozza, infatti, la procedura riservata avrebbe riguardato solo qualche migliaio di docenti con almeno 36 mesi di servizio alle spalle.
Un’esigenza da provvisoria a permanente
Secondo l’Anief, la Corte di Giustizia europea ha confermato che “l’esigenza provvisoria non si può trasformare in un’esigenza permanente che nel caso di specie dura da 15 anni”.
“Né lo Stato italiano come peraltro ha fatto altre volte può invocare interessi finanziari che non possono costituire obiettivo di una politica tesa a disapplicare la prevenzione del ricorso abusivo ai contratti a termine”, ha aggiunto il sindacato.
Le richieste dello Snadir
Anche lo Snadir, che ha promosso il ricorso e ora si accinge a fare altrettanto nei tribunali italiani, si impegna “a verificare tutte le possibili ulteriori strade che sarà possibile percorrere affinché si realizzi una giusta stabilizzazione lavorativa di questa categoria di insegnanti”.
Il primo sindacato dei docenti di Religione torna con l’occasione a chiedere una procedura straordinaria non selettiva per coloro che hanno speso almeno 36 mesi di servizio nell’insegnamento della religione; lo scorrimento annuale delle graduatorie della procedura straordinaria sino a totale esaurimento di ciascuna graduatoria e della Graduatoria di Merito del 2004; l’aumento della dotazione organica di posti dal 70% al 90% nell’organico di diritto in un triennio”.