Cresce l’età media degli insegnanti, che alle superiori vede sette prof su dieci ultra cinquantenni. Come il numero di Neet (+10%).
I dati, impietosi, sono quelli del rapporto Ocse “Education at glance” 2016, di cui ci siamo già occupati.
I docenti over 50 sono ormai il 58% nella scuola primaria, 59% alle medie e il 69% alle superiori. Negli altri Paesi non è così, visto che è il dato anagrafico più alto dell’area Ocse,
C’è poi un dato che fa pensare: sebbene, infatti, il 78% degli insegnanti della scuola secondaria di primo grado sia di sesso femminile, solo il 55% dei dirigenti scolastici è donna.
Come fa riflettere il fatto che così tanti giovani che non lavorano e non studiano (oltre un terzo dei giovani tra i 20 e i 24 anni) è una caratteristica esclusiva del nostro Paese: in un decennio, in Italia è aumentata di 10 punti percentuali, mentre in altri paesi dove c’è stato un altrettanto calo (oltre del 10%) dell’occupazione, come Grecia e Spagna, non si è ravvisato un aumento così vistoso dei Neet.
Dal ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, sono arrivate parole rassicuranti (“la richiesta di maggiori investimenti e maggiore attenzione a temi come quello dei Neet e della dispersione scolastica ha già trovato una risposta nell’azione del Governo che ha finalmente invertito la rotta sulla scuola”), ma i numeri attuali valgono più dei commenti. E sono tutti tendenti al ribasso.
Lo dicono a chiare lettere i sindacati: per la segretaria confederale della Cgil Gianna Fracassi, sui Neet, “è evidente che le misure messe in campo finora sono del tutto insufficienti“. La quota di giovani laureati fra i 25 e i 34 anni che riescono a trovare un lavoro è di oltre venti punti inferiore alla media dei paesi Ocse: 62% contro 83%. E non aiutano le tasse universitarie aumentate in modo spropositato e pochi interventi per il diritto allo studio.
In Italia circa l’80% degli studenti iscritti all’università non riceve alcun aiuto finanziario. Soltanto uno studente su cinque usufruisce di una borsa di studio, nonostante le tasse d’iscrizione ai corsi di laurea ci collochino al nono livello più alto. Anche perchè la percentuale di studenti che utilizzano i prestiti bancari, sebbene stia segnando un rapido aumento, è ancora inferiore all’1%.
lo sanno bene le associazioni degli studenti, che continuano a protestare: secondo Elisa Marchetti, coordinatrice nazionale dell’Unione degli Universitari, non c’è “niente di nuovo all’orizzonte rispetto alle nostre denunce, anche per quanto riguarda il tasso di occupazione dei laureati che si ferma al 62%, nella fascia tra i 25 e i 34 anni, a fronte di una media OCSE dell’83%”.
E ancora: “nonostante la crisi, rispetto al 2008 nei Paesi Ocse la spesa pubblica è cresciuta in media del 22% per quanto riguarda l’educazione terziaria. In Italia, invece, la spesa pubblica nazionale è scesa del 10% in seguito all’entrata in vigore della legge n.133/2008, che ha permesso, tra le varie misure, di incrementare il numero di studenti per docente e di tagliare i finanziamenti”.
Per l’Ocse occorrerebbe, dinanzi a questi dati, “aumentare le opzioni di studio a tempo parziale, offrendo maggiori possibilità per gli studenti che desiderano conciliare gli studi con l’attività lavorativa e le esigenze di famiglia”, che indica una soluzione nella diversificazione dell’offerta formativa nell’istruzione terziaria rappresentata dagli Its (Istituti tecnici superiori).
Se si guarda poi alla spesa totale, il bilancio si fa pessimo: “un’istruzione di qualità ha bisogno di un finanziamento sostenibile” scrive l’Ocse, facendo notare che la spesa pubblica nel settore della formazione è diminuita del 14% tra il 2008 e il 2013.
Un calo che “riflette non solo una riduzione della spesa pubblica complessiva in termini reali, ma anche un cambiamento nella distribuzione della spesa pubblica tra le diverse priorità pubbliche: per altri servizi pubblici, infatti, la contrazione della spesa è stata inferiore al 2%”.
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